Nuovo capitolo per questa rubrica di Affaritaliani.it - Puglia, che vuol essere una sorta di virtual-agorà dove stimolare ed incrociare riflessioni, confronto, contributi e stimoli per un futuro dei nostri territori e delle nostre comunità. Un futuro più derminato e segnato dai loro protagonisti, anziché subìto o auspicato da decisioni spesso non condivise o avulse dai contesti di riferimento. Una piattoforma aperta, dove la parola d'ordine sarà costantemente sintetizzata da una convinzione: "La ricchezza è nella diversità" (ag)
di Ennio Tangrosso
Bisogna farsene una ragione, le cose cambiano, la vita cambia e per innumerevoli ragioni, alcune spiegabili altre no, a volte prevedibili altre assolutamente inimmaginabili, si è costretti a modificare pensieri e comportamenti.
Da tre secoli un incessante fenomeno di inurbamento ha spinto centinaia di milioni di persone a concentrarsi, ad “aggrumarsi”, nelle città facendole diventare prima metropoli poi megalopoli.
Piccoli addensamenti di case nel volgere di poco più di cento anni sono diventate prima città poi comunità grandi e grandissime.
Era l’industria che richiedeva mano d’opera e a sua volta una grande concentrazione di operai richiedeva servizi, negozi, trasporti, uffici e amministrazioni sempre più grandi e complesse.

A questa epocale trasformazione di modelli di vita l’umanità in genere deve quasi tutto il suo straordinario progresso. Innumerevoli sono stati i vantaggi, i progressi tecnologici, le idee che hanno prodotto ricchezza, conoscenza, istruzione, ricerca, bellezza, salute, benessere, comodità, divertimento.
Molti sono stati i problemi che questa straordinaria concentrazione di persone ha comportato, dalle abitazioni, alle strade, dalle fognature agli acquedotti e poi elettricità, trasporti, inquinamento, smaltimento dei rifiuti, ordine pubblico. Tutto più o meno affrontato e in parte risolto con le tante ed evidenti eccezioni. Certo ci sono tante difficoltà che ogni giorno preoccupano gli abitanti delle città piccole o grandi che siano, ma nessuno aveva messo in conto un fattore poco immaginabile come una pandemia.
Insomma, vuoi per questioni produttive, economiche, amministrative, formative, culturali, edonistiche e quanto altro negli ultimi due secoli intere comunità, che vivevano bellamente distribuite su grandi territori, si sono trasferite in un centro urbano. Se da una parte ci sono stati i problemi legati all’inurbamento, dall’altra sono sorti i problemi legati allo spopolamento.
L’Italia è un esempio emblematico di entrambe le problematicità. Le grandi aree urbane e metropolitane, che annaspano nell’accogliere e far vivere una popolazione sempre più numerosa e addensata, e grandi porzioni di territorio come le aree cosiddette interne, pressoché spopolate, dove piccole e piccolissime comunità fanno sforzi indicibili per trattenere i “restanti” residenti.
La questione era evidente, già da diversi decenni non è un caso che i vari governi nazionali hanno varato più e più leggi tese a favorire la residenza nelle aree interne, attraverso anche l’investimento di molte risorse economiche. Tutti gli sforzi messi in campo per fermare lo spopolamento delle aree interne - che in Italia sono numerose ed estese e riguardano sia il nord, sia il centro, sia il sud e naturalmente le isole - sono risultati quasi totalmente inefficaci.
La velocità di spopolamento in molte aree, soprattutto del sud e delle isole e non ultime quelle montane, sfiora annualmente il 6-7% della popolazione ancora residente, di questo passo e con un indice di natalità pari a zero, tempo 30 o 40 anni e gli italiani si ritroveranno a vivere tutti concentrati in qualche centinaia di città di media e grandi dimensioni.
Eppure le aree interne restano zone di grande potenzialità e di evidente bellezza, nonostante le politiche statali e le diverse provvidenze, anche a carattere locale, gli italiani pare preferiscono le città. E’ bene puntualizzare che non si sta mettendo in campo la solita contrapposizione “nord - sud”, ma piuttosto “monte - piano” o “costa - entroterra”; infatti, mentre le coste sui tratti bassi ed abitabili sono un costante e quasi ininterrotto susseguirsi di case, di frazioni e di centri urbani - dietro il profilo dei quali si fa fatica ad intravedere il mare - le aree interne sono caratterizzate da piccoli e piccolissimi centri, di solito arroccati su colline e versanti montani, distanti l’uno dall’altro e divisi da tratti di campagna sempre meno abitati.

Ora, se i luoghi hanno potenzialità economiche e di vita evidenti, se le leggi favoriscono la loro residenza, perché le persone continuano ad andare via? D’altra parte, è sapere comune che la esistenza ed i ritmi di una vita in città non siano proprio salutari. Lo smog, lo stress, il sovraffollamento; c’è sempre troppa gente dappertutto, non solo sulle strade, nelle stazioni, sui mezzi pubblici, in ospedale e persino al bar ed in pizzeria c’è coda e folla, che intasa, ritarda, ostacola e rende faticosa ogni azione.
Perché allora ci si addensa, invece di disperdersi, distanziarsi, diluirsi. Eppure, negli ultimi anni, anche la cultura ha in qualche maniera proposto modelli alternativi alla città. Sono, infatti, comparsi paesologi, abbandonologi, borgolici, villagiologi e altre figure di scopritori e magnificatori di cose isolate, abbandonate, dimenticate. Innumerevoli sono, anche, i programmi televisivi che promuovono i modelli di vita nei borghi e forme di nuova economia rurale, attraverso la rappresentazione di tante iniziative di imprenditoria agricola: attive nelle aree interne. Nonostante tutto questo, lo spopolamento continua la sua costante erosione demografica in tutte le aree interne della nazione.
La pandemia, però, ci ha dato la possibilità di porre in atto modalità conosciute e poco praticate, che possono facilitare una inversione di tendenza del fenomeno dell’inurbamento. Infatti, il forzato ricorso allo smart-working ha messo in evidenza come addensarsi in città, per questioni di lavoro, non è più necessario. Anche le grandi industrie non esistono più e gli opifici di ogni sorta e qualità possono essere allocati in ogni dove, senza la necessità di concentrarsi in aree industriali e/o similari.
Morale della favola, non sono gli operai, i lavoratori, i dipendenti che devono andare necessariamente a lavorare in un luogo deputato, ma è il lavoro che si può spostare in prossimità di chi deve svolgerlo.
Impiegare parte del tempo solo per spostarsi, da un capo all’altro delle grandi città, reca problemi di ogni sorta: dallo spreco del tempo personale, al costo delle infrastrutture, alla risoluzione delle questioni logistiche, etc.

È assai costoso costruire metropolitane, ponti e svincoli stradali, tuttavia con gli stessi fondi si potrebbero migliorare strade e ferrovie, per collegare meglio e facilmente le aree interne e queste con i centri urbani: al fine di de-congestionali, rendendoli facilmente raggiungibili e meglio ancora abbandonabili.
Tutte queste e molte altre sono cose studiate e risapute. Allora, perché le persone continuano a trasferirsi in città?
Forse perché il pensiero comune, la visione diffusa - che in questi secoli le diverse generazioni si sono costruite - è che la città è il luogo dove succedono le cose, dove si vive. I “cittadini” (quelli che vivono in città) sono protagonisti consapevoli e attivi della vita di tutti i loro contemporanei, sono quelli che scelgono, che inventano, che producono, che sanno prima e meglio degli altri che vivono altrove come “vanno le cose”, sono quelli che indirizzano e seguono gli eventi, che fanno le mode, che si divertono assai e con più varietà di scelte e di luoghi e modi per farlo.
I “non cittadini” (quelli che vivono fuori città) sono lontani dallo sfavillio della immanente attualità, del vorticoso presente delle tendenze, degli eventi insomma delle cose della vita, altrove non succede niente! Dunque, non si vive. Chi sceglie di vivere lontano dalla città sceglie di vivere ai margini, si auto-esclude da centro delle cose, dove tutto avviene e tutto si decide[1].
Ora, questi mesi di distanziamento ci hanno mostrato che si possono fare riunioni a distanza e prendere decisioni stando altrettanto lontani; come si possono svolgere lezioni, conferenze, convegni, discussioni di ogni sorta, ognuno collegato dal proprio luogo di residenza, ma tutti riuniti e convenuti dinanzi ad un computer o ad altro strumento tecnologico abilitato a collegarsi in rete.

Il tutto con grade risparmio di tempo e di danaro e con poca fatica. Tutto ciò non risolverà tutti i problemi, e vanno messe in conto la mancanza della presenza e delle relazioni personali, ma sono una parte del modello che si può implementare, per un prossimo futuro, attraverso un equilibrio tra necessità di presenza fisica e cose che si possono fare a distanza.
Molto probabilmente sarà un modello di transizione per nuove e più adeguate modalità di lavoro futuro e, forse, sarà l’inizio di un nuovo modo di pensare, che non vede la città come il centro designato delle scelte, delle decisioni, dello svolgersi degli eventi, insomma dove la vita è deputata a dipanarsi.
Quando questo processo piano piano prenderà piede, l’immaginario collettivo cambierà e, dopo tre secoli, tutto quello che ha spinto milioni di persone a trasferirsi e a svolgere la propria esistenza ammonticchiati ed affastellati in affollatissime metropoli, prenderà un nuovo verso e la visione e la aspirazione della maggior parte delle persone avrà una sola istanza, una sola tensione: quella di distribuirsi meglio sulla faccia della Terra, per trovare spazio vitale e risorse migliori.
Pertanto l’invito è alla lungimiranza, a guardare assai più lontano del qui ed ora, e a preparare una adeguata transizione per gli anni a venire, per il bene personale e per quello della comunità. Per il buon uso dell’ambiente e del territorio, per una migliore fruizione dei luoghi e dello spazio vitale, al di là di ogni pandemia. Orsù, concittadini di ogni metropoli, prendiamo il coraggio a due mani e: Sparpagliamoci!
[1] Come recita un testo di una canzone di Giorgio Gaber e del 1969 dal titolo “Come è bella la città”: Vieni, vieni in città che stai a fare in campagna, se tu vuoi farti una vita, devi venire in citta…”
* la foto 'Sparpagliatevi!" è del Bike Bar Cinetico - Cervia (RN)
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Pubblicato in precedenza: Una rigenerazione urbana sostenibile, per il futuro delle nostre città
Architetti a confronto con la spina dorsale del Paese: l'entroterra
Aree interne e spopolamento a Sud e in Puglia: iniziative plurime
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