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Vendola ricorda Minervini 'Un costruttore di pace'

di Nichi Vendola *

Chiudo gli occhi e rivedo il suo sorriso accogliente, la sua ironia leggera, la mitezza dei modi, quel suo essere al mondo in semplicità: una specie di trasandatezza francescana con cui vestiva il suo ruolo pubblico restituendo umanità alla politica, una antropologica estraneità a qualsivoglia "pompa magna" del potere, uno stile sempre austero ed essenziale che mal sopportava la demagogia altisonante e i fronzoli dell'ufficialità.

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Guglielmo Minervini è stato l'uomo delle passioni eleganti, formato all'idea che la buona politica è innanzitutto pedagogia, apprendimento e insegnamento, curiosità e discernimento, conoscenza e condivisione: e negli ultimi anni, quando la malattia e il dolore hanno visitato la sua vita senza più abbandonarla, discutevamo molto della rapida agonia di quella politica che è servizio, sacrificio, talvolta martirio.

Guglielmo era figlio di quel cattolicesimo rinato nel ventre profetico del Concilio Vaticano II, un ragazzo del sud che si sentiva cittadino del mondo, un tessitore di reti di volontariato, un seguace di don Lorenzo Milani, un vero costruttore di pace. Per questo fu inevitabile e totale il suo amore per don Tonino Bello, quel vescovo salentino che nella diocesi di Molfetta seppe dare testimonianza universale di una fede che feconda la storia.

Il Vangelo degli ultimi, nell'arena degli anni ottanta, si fece ribellione contro l'economia della guerra e dello sfruttamento: don Tonino, con la sua Chiesa del grembiule, fu osteggiato e talvolta vilipeso da tutti i poteri, incluso il potere clericale. Ma fu lì che Guglielmo maturò le proprie scelte fondamentali, lì in quella fucina di idee e di opere, tra quei germogli di speranza non solo evangelica il suo passo si fece più determinato e il suo sguardo più aperto e più profondo. Aveva la caparbietà e certe volte la temerarietà dei bambini, e lo ha dimostrato anche candidandosi alle primarie contro l'invincibile Michele Emiliano.

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Ma la politica era anche la cura supplementare contro il cancro, quasi un antidoto, il farmaco che lo faceva letteralmente resuscitare dopo lo sfinimento di un ricovero o di una chemio. Guglielmo era capace di arrossire, segnato com'era da una timidezza e da un sentimento del pudore che hanno rivelato sempre la genuinità della persona piuttosto che il look del personaggio.

Voglio dire che era vero: non l'eroe di una fiction ma l'antieroe della "primavera pugliese", il narratore di un sogno diurno e il costruttore di un cammino concreto, passo dopo passo, tutti insieme: lui sempre attento a quelli che erano rimasti indietro.

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Guglielmo era capace di piangere per la felicità, come quella volta che ci hanno accolto in Fiera festosamente i duemila ragazzi e ragazze dei "Bollenti spiriti": ed era la generazione più giovane quella a cui la Puglia, dal suo vertice istituzionale, dedicava non una predica inutile, ma un investimento straordinario e duraturo.

Ho scritto queste righe col cuore gonfio di rimpianto e di dolore e ora mi accorgo di qualcosa di stonato: parlare di Guglielmo al passato sembra un paradosso o un errore, perché lui è sempre stato un uomo del futuro. Allora forse vale la pena ricordare che la sua semina continuerà a dare frutti. Nessuno lo dimentichi: per noi Guglielmo ci sarà sempre. Lo cercheremo, lo aspetteremo.

* Dal blog di Nichi Vendola

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Pubblicato in precedenza: E' morto Guglielmo Minervini L'urlo silenzioso di un mite

                                       Il cordoglio di Antonio Decaro in Consiglio Comunale per Guglielmo Minervini

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