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Roma
Campi rom e debiti di Roma: “Ecco la verità incontrovertibile”. Parla Alemanno

di Gianni Alemanno *

Roma è una questione troppo complessa per essere affrontata con facili slogan pre-elettorali. Così oggi sentiamo dichiarazioni politiche sul debito storico della Capitale e sui campi nomadi, che sembrano uscite da un film di fantascienza.

Cominciamo dalla materia più semplice, quella della chiusura dei Campi rom. Il vice-premier Di Maio per polemizzare con Salvini ha dichiarato: “Chi è che aprì i campi rom nella Capitale? Fu la Lega con i finanziamenti di Marroni da Ministro degli interni ad Alemanno sindaco.” Follia, vera follia. I campi nomadi a Roma, come in molte altre città d’Italia, esistono almeno dagli anni ’60 e nella nostra città, durante la gestione buonista della sinistra prima del nostro insediamento, toccarono cifre da record. Di fronte a quella situazione l’allora Ministro Marroni istituì una “Gestione commissariale dell’emergenza nomadi” in tutte le grandi città, compresa Roma. L’obiettivo era quello non di aprire ma di chiudere questi campi e le (poche) risorse messe a disposizione dei Prefetti servivano principalmente per finanziare gli sgomberi e bonificare le aree liberate dagli accampamenti. Infatti durante il mio mandato (2008-2013) i campi nomadi tollerati si ridussero da 15 a 8, mentre gli accampamenti totalmente abusivi scesero da 1200 a 100, compresa la chiusura di “Casilino 900”, il più antico (risaliva al 1960), affollato e degradato campo nomadi della storia d’Italia.

Quindi ad aprire i Campi nomadi non è stata la Lega e tantomeno Alemanno, ma semmai la tolleranza buonista delle amministrazioni democristiane e di sinistra che ci avevano preceduto. Quanto poi all’idea di Virginia Raggi di chiudere i Campi dando case popolari ai nomadi, corre l’obbligo di avvertire che questa idea non solo è ingiusta (e infatti provoca le proteste delle periferie romane) ma è anche del tutto controproducente. Infatti i nomadi in tutta Europa sono una massa in movimento che si sposta dai territori più ostili a quelli più accoglienti: diffondere la notizia che a Roma si danno case popolari ai rom significa attrarre nuovi flussi nomadi che arrivano nella Capitale con la speranza di ottenere gli stessi benefici.

Passiamo invece al tema più complesso della gestione del debito storico della Capitale. La gestione commissariale di quel debito fu decisa all’inizio del mio mandato dopo una due diligence fatta dal Ministero del Tesoro e dalla Corte dei Conti sul buco di bilancio che noi avevamo ereditato dalle gestioni precedenti, un buco che risaliva fino agli espropri delle Olimpiadi del 1960 e che complessivamente risultò pari alla folle cifra di 22,4 miliardi di euro. Per evitare il default della Capitale, questo debito – creato esclusivamente prima del mio insediamento nel 2008 – fu consegnato con legge dello Stato ad un Commissario governativo, dotato di un finanziamento di 500 milioni l’anno (200 provenienti dalle tasche dei romani con un aumento dello 0,3% dell’Ipef e 300 dalle casse dello Stato) fino al 2048.

Il Commissario Varrazzani impegnò tutte queste risorse come garanzia per ottenere un’anticipazione finanziaria necessaria per fare fronte a quasi tutti i debiti commerciali e alle rate dei mutui contratti prima del 2008 (che da sole valgono circa 600 milioni all’anno).

Le conseguenze pratiche di tutto questo sono:

1 – La mia Amministrazione non c’entra nulla con questo debito storico perché risale esclusivamente a prima del mio insediamento nel 2008. L’anticipazione di 5 miliardi di cui ha parlato Virginia Raggi non è stata fatta a favore della “gestione Alemanno” (cosa vietata per legge) ma, come detto, dal Commissario per poter pagare i debiti commerciali e le rate dei mutui creati prima del 2008.

2 – Non è vero che si possono ridurre le tasse ai romani semplicemente abolendo la Gestione commissariale, perché, come detto, lo 0,3% aggiuntivo di Irpef è già stato impegnato dal Commissario fino al 2048 e quindi dovrà rimanere sulle spalle dei nostri concittadini fino a quella data.

3 – Non è vero, come dicono i detrattori di Roma, che cancellare la gestione commissariale significa scaricare nuovi oneri finanziari su tutti i cittadini italiani, perché quei debiti sono già stati accollati alla fiscalità generale dello Stato già dal 2008, prevedendo una restituzione divisa quasi a metà tra i romani e tutti gli italiani (cosa non ingiusta, visto che molti di quei debiti non derivano dalla normale vita della Città, ma dello svolgimento della sua funzione di Capitale di tutti gli Italiani).

Insomma una grande tempesta in un bicchiere d’acqua: l’abolizione della Gestione commissariale è solo un atto di razionalizzazione all’interno del Bilancio dello Stato, senza che questo porti nessun beneficio ai romani e senza nessun nuovo debito a carico dei cittadini italiani.

Ma se qualcuno vuole trovare i responsabili di questo debito storico – che nel frattempo si è ridotto da 22,4 a 12,1 miliardi di euro – se la prenda con chi ha amministrato la Capitale prima di noi, che ci siamo limitati a intervenire per evitare un disastro finanziario che avrebbe travolto non solo Roma ma, per contagio, tutto il rating della nostra Nazione.

* Gianni Alemanno, già sindaco di Roma

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