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Roma, dramma Pil: persi 11 punti dall'inizio della crisi. Dati choc Uil-Eures

Prodotto interno lordo del Lazio: -11% dall'inizio della crisi economica e meno 6% dal 2011 al 2105. Ed è dramma. Non solo, anche e perdita di postazioni nella classifica nazionale sia per quanto riguarda l’apporto regionale alla ricchezza del Paese e la produzione economica sia relativamente allo stato di benessere degli abitanti.

 


Questa in sintesi la situazione economica del Lazio che emerge nel dossier “La dinamica del Pil”, realizzato dalla Uil di Roma e del Lazio, in collaborazione con l’Eures.
“Sono anni che ripetiamo che la situazione sta precipitando e che, contrariamente ai proclami politici, non si intravede alcuna ripresa – commenta il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica – anni in cui, stando tra le persone, ci rendiamo conto che esuberi e licenziamenti sono andati aumentando e la crisi ha colpito duramente sia le singole famiglie, sia il tessuto produttivo del nostro territorio. Abbiamo denunciato situazioni al limite della tollerabilità civile, avanzato proposte, idee per migliorare e contribuire a migliorare la situazione, ma le risposte sono rimaste solo sulla carta. Adesso ci troviamo una Capitale che è sempre più decentrata nel panorama nazionale, con tanto di conferma dei dati, purtroppo”.

Nel 2011 Roma IV, perse tre posizioni
Roma, infatti, che nel 2011 presentava un valore aggiunto per abitante pari a 31.076 euro collocandosi al 4° posto nella graduatoria delle province italiane, nel 2014 perde ben 3 posizioni, scivolando al 7° posto (-3.000 euro circa). La provincia romana presenta uno scarto di oltre 10.000 euro rispetto a Milano che si posiziona al primo posto nella classifica (44.775 euro), seguita da Bolzano (36.440) e Bologna (34.309).
Ma il declino riguarda tutto il Lazio, dove – emerge nel dossier – negli ultimi quattro anni il Pil è costantemente in calo e influisce negativamente sull’andamento dell’intero centro Italia, il cui Pil, tra il 2011 e il 2015, è diminuito del 4,7%, a causa proprio del calo rilevato in Umbria (-7,7%) e nel Lazio (-6%).
Complessivamente il Pil nominale nella nostra regione è pari a 182,4 miliardi di euro, un dato che colloca il Lazio al secondo posto in termini di contributo alla creazione di ricchezza nazionale (pari all’11,1%), distanziandosi ampiamente dalla Lombardia che, con 359 miliardi di euro, rappresenta oltre un quinto del valore complessivo (il 21,9%), guadagnando 0,3 punti rispetto al 2011 (-0,4 punti per il Lazio). Al terzo posto in ordine di Pil si posiziona il Veneto (9,2%), seguito dall’Emilia Romagna (9,1%).

Crolla la spesa delle famiglie
L’analisi del Pil in termini pro-capite rivela un risultato ancora meno incoraggiante per la nostra Regione: con 30.967 euro di Pil per abitante, il Lazio scende infatti nel 2015 al quinto posto nella graduatoria nazionale, perdendo una posizione rispetto al 2011. Dinamica discendente che pare sia stata condizionata dalla flessione della spesa familiare (-3,6%) e di quella delle amministrazioni pubbliche (-2,2%). Ma è stato soprattutto il crollo degli investimenti (-17,3%) a influire negativamente sulla produzione di ricchezza regionale. Il peso degli investimenti (27,8 miliardi), infatti, è sceso di oltre 2 punti percentuali (15,3%). Di contro, la domanda estera ha visto aumentare il proprio contributo (dall’11,6% al 13,1%), confermandosi l’export come uno dei principali traini dell’economia regionale.  
 “Investimenti che rappresentano il vero motore dell’economia – dice Civica – senza i quali non si può pensare di produrre sviluppo né benessere sociale. Se gli investimenti sono fermi, e lo sono da anni oramai, significa che il lavoro è fermo. E ciò si ripercuote sui cittadini i quali non solo non usufruiscono di infrastrutture indispensabili, ma attraverso la tassazione pagano la negligenza di amministrazioni immobili e, a questo punto, incapaci di produrre reddito e anche di mantenere quello che c’è”.

Industria e costruzione, la Caporetto del lavoro
Tra il 2014 e il 2015, a livello regionale, si evidenzia un arretramento soprattutto nei settori dell’industria in senso stretto (-3% sul 2014) e delle costruzioni (-1,7%), a fronte di una sostanziale stabilità del terziario (-0,1%) e di un discreto recupero nel comparto agricolo (+8,8%), dopo quattro anni di flessione. In crescita l’incidenza dei servizi che nel Lazio rappresentano ben l’84,9% del valore aggiunto complessivo (139 miliardi), evidenziando la forte vocazione terziaria del territorio (74,2% in Italia).
 Tra il 2011 e il 2015, si registra un calo della produttività del lavoro nella nostra regione che nel 2006 rappresentava la prima in Italia in termini di valore aggiunto per occupato. Nell’ultimo decennio però ha visto gradualmente deteriorare la propria capacità di generare ricchezza, scendendo al 3° posto nel 2011 e al 5° posto nel 2015, preceduto dalla Valle d’Aosta (64.491 euro), dall’Emilia Romagna (64.980 euro), dal Trentino Alto Adige (67.845 euro) e dalla Lombardia (69.891 euro). Il tasso di occupazione nel Lazio ha ripreso a crescere soltanto nel 2014 (+1 punti) e in misura più contenuta nel 2015 (+0,2 punti, pari al 59%), dopo un costante rallentamento rilevatosi nei cinque anni precedenti. Andamento che evidenzia la distanza del Lazio rispetto alle aree più avanzate, posizionandosi dietro a tutte le regioni del Nord e del Centro Italia, con un tasso pari al 56,3%. Si scosta infatti di quasi 10 punti percentuali dal Trentino Alto Adige (che con il 68,7% si colloca al primo posto nella graduatoria nazionale), seguita dall’Emilia Romagna (66,7%). Valori decisamente allarmanti si registrano poi per la disoccupazione giovanile (42,6% nel Lazio e 40,3% in Italia).
Tra il 2014 e il 2015 gli occupati dipendenti nel Lazio sono aumentati dell’1%, a fronte di una riduzione dell’1,9% degli indipendenti (rispettivamente +5,2% e +4,9% nel confronto con il 2011). I lavoratori dipendenti, pari a 1,8 milioni nel 2015, rappresentano il 77,2% dei 2,3 milioni di occupati nel Lazio (22,8% è invece la quota relativa agli indipendenti).

Il palliativo del Joc Act
“Un incremento illusorio – spiega Civica – nel senso che nel 2015 circa l’80% delle attivazioni di rapporti lavorativi a tempo indeterminato si è avvalso degli esoneri contributivi previsti dal Job Act, ma il peso di questi sul totale dell’occupazione dipendente è passato dall’88,2% del 2014 all’87,5% del 2015, evidenziando come il ricorso alle nuove tipologie contrattuali abbiano rappresentato solo un palliativo di breve durata e non certo una risoluzione in termini occupazionali ed economici”.
Analizzando, nello specifico, i dati relativi al regime orario, si registra tra i lavoratori a tempo indeterminato una significativa riduzione degli occupati a tempo pieno, che subiscono un decremento dello 0,5% rispetto al 2014 e dell’1,4% sul 2011 rappresentano l’80,2% del totale degli occupati a tempo indeterminato nel 2015.

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