Il recepimento della direttiva comunitaria PIF (protezione interessi finanziari) ha comportato l’estensione della responsabilità amministrativa degli enti per i reati tributari e doganali. Per effetto della riforma le società e le imprese oggi rischiano MAXI-SANZIONI fino a 774.500 euro.
Importante novità nel settore della responsabilità amministrativa degli enti è l’estensione dal novero dei reati presupposto ai reati tributari e doganali, dapprima attraverso la legge n. 157 del 2019 e poi con il D.lgs. n. 75 del 2020 entrato in vigore il 30 luglio scorso, provvedimenti entrambi adottati in occasione del recepimento della direttiva PIF.
In particolare, la legge n. 157 del 2019 ha esteso la responsabilità amministrativa da reato delle società all’ambito penal-tributario, riformando il D.lgs. 231/2001 attraverso l’aggiunta dell’art. 25quinquiedecies e indicando una serie di reati presupposto di natura tributaria. A seguire, il D.lgs. n. 75 del 2020 ne ha ampliato il novero, escludendone solo i reati tributari meno gravi, contraddistinti dall’assenza di inganni e dal semplice inadempimento dell’obbligazione tributaria.
Allo stato dell’arte, le fattispecie penali che fanno scattare la responsabilità amministrativa dell’ente sono:
- la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per importi uguali o superiori a 100 mila euro di cui all’art. 2 comma 1 del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 500 quote;
- la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per importi inferiori a 100 mila euro di cui all’art. 2 comma 2bis del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 400 quote;
- la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 500 quote;
- l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per importi uguali o superiori a 100 mila euro di cui all’art. 8 comma 1 del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 500 quote;
- l’emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti per importi inferiori a 100 mila euro di cui all’art. 8 comma 2bis, con sanzione a carico dell’ente fino a 400 quote;
- l’occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 400 quote;
- la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’art. 11 del D.lgs. 74/2000, con sanzione a carico dell’ente fino a 400 quote.
Dal momento che l’importo di ogni singola quota varia da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro, vien da sé che la sanzione pecuniaria per la società il cui rappresentante legale abbia commesso, a vantaggio della stessa, uno dei reati fiscali riportati dall’art. 25quinquiedecies del D.lgs.231/2001 potrà arrivare ad un importo massimo di 774.500 euro per i reati più gravi e di 619.600 euro per i reati meno gravi.
Alla sanzione pecuniaria, dovranno, poi, aggiungersi le sanzioni interdittive:
- il divieto di contrattare con le PP.AA., salvo che per ottenere prestazioni di pubblico servizio;
- l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e l’eventuale revoca di quelli in precedenza concessi;
- infine, il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
Alla luce di tutto ciò, è ormai evidente la necessità per società e imprese di aggiornare il proprio modello di organizzazione e gestione ex D.lgs. 231/2001 attraverso l’adozione, non oltre procrastinabile, di protocolli idonei a prevenire il rischio reato di cui all’ art. 25quinquiedecies, nonché le sanzioni dallo stesso contemplate.
Tuttavia, se ciò appare di facile realizzazione per le società già dotate di un efficiente sistema di controllo del rischio fiscale – che sia parte integrante della governance aziendale e del controllo interno – per tutti gli altri soggetti che ne siano privi l’adeguamento potrebbe non essere così semplice e immediato.
Dott. Tiziano De Salve
Avv. Matteo Sances
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