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Il c.t. italiano Marco Rossi eroe nazionale in Ungheria... ma sogna il Torino

Il c.t. italiano Marco Rossi è diventato un eroe nazionale in Ungheria, ma ora vuole allenare il Torino, la squadra che lo ha allevato da calciatore.

Che bella rivincita, quella di Marco Rossi! Gli Europei lo hanno consacrato come ottimo allenatore dell’Ungheria, che ha sfiorato la qualificazione nel terribile “gruppo della morte” che comprendeva anche Francia, Germania e Portogallo.

Alla fine sono passate loro tre, ma fino a sei minuti dal termine sarebbero stati proprio i magiari a passare agli ottavi, prima che Goretzka evitasse una clamorosa sconfitta casalinga ai tedeschi. Un gol, oltretutto, festeggiato in modo polemico nei confronti dei tifosi ospiti, dopo la bufera politica sulla legge anti-gay approvata dal Parlamento di Orban e il tentativo tedesco di esporre l’arcobaleno sulla facciata dello stadio, stoppato dalla Uefa.

“Non abbiamo subìto alcuna pressione da parte dei vertici istituzionali. Sono in Ungheria dal 2012 e, pur essendo straniero, non ho mai avvertito alcuna intolleranza nei miei confronti”, ha detto l'ex giocatore di Torino, Brescia, Samp, America e Eintracht Francoforte sulle polemiche tra il Paese che lo ospita e il resto dell'Unione Europea.

Nessuno avrebbe scommesso su di lui nel 2010, quando la sua esperienza alla guida della Cavese finì con l’esonero, spingendo al punto di pensare lasciare il calcio, per lavorare nello studio del fratello, commercialista.

A rilanciarne la carriera di allenatore è stata la chiamata nel campionato ungherese, dove ha portato la Honved a vincere uno scudetto atteso per 24 anni. Premiato con la Panchina d’Oro 2018 come miglior italiano all’estero, si è poi trasferito nel campionato slovacco dove ha allenato il DAC Dunajska e poi ha rimpiazzato l’esonerato Georges Leekens sulla panchina dell’Ungheria.

La brillante qualificazione alla fase finale di Euro 2020 e l’impresa sfiorata contro tre big del calcio continentale ne hanno fatto uno dei tecnici più di moda di questa estate. La prossima gli riserverà un altro appuntamento-clou come i mondiali in Qatar, ma se lui potesse scegliere, lo farebbe con il cuore: “Mi ispiro ancora oggi ai valori del Torino, così come li ho appresi durante l’intera trafila nel settore giovanile granata, dove sono entrato all’età di 9 anni. Dunque, dai Pulcini alla Prima Squadra, con il compianto Bersellini, sono rimasto immerso in quello spirito. Io accetto la sconfitta, ma non accetto di non lottare per vincere. L’ho detto in tempi non sospetti, tanti anni fa: allenare il Toro sarebbe la chiusura di un cerchio. Mi spiego meglio. Mio nonno mi portava ad allenarmi al Filadelfia e mi raccontava la leggenda del Grande Torino. Inoltre, mi ha sempre parlato della squadra d’oro ungherese, quella che si chiamava Aranycsapat, e poi dell’Honvéd, la mitica squadra di Ferenc Puskas. I casi della vita hanno fatto sì che in due circostanze ho avuto il privilegio di allenare l’Honvéd, con cui ho vinto il titolo dopo 24 anni, e ora sono a capo della nazionale magiara. Ecco, dunque, perché il Toro chiuderebbe un cerchio. Sarebbe il coronamento di un sogno”, ha detto a Toro News.

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