Continua la corsa dello spread: i mercati bocciano il governo Meloni

Lo spread ha ripreso a salire, il rendimento del decennale sopra il 4,5%. E la sensazione è che siamo solo all'inizio di una nuova turbolenza

di Marco Scotti
Giorgia Meloni
Economia

I mercati mostrano alla Meloni il  "cartellino giallo"

Non è tanto dal sindacato più disunito di sempre o dalla Confindustria più dimessa che si sia vista in tempi recenti. Giorgia Meloni deve guardarsi dai mercati. I quali hanno iniziato già da qualche tempo ad agitarsi e sono pronti a sventolare un cartellino giallo davanti alla premier: “O cambi o siamo pronti a scatenare un’altra tempesta”. E la presidente del Consiglio, che già di per sé ha sempre avuto la sindrome dell’accerchiata – retaggio di un passato politico in cui “i neri” erano ai margini dell’arco parlamentare – inizia a sentire il fiato sul collo della comunità internazionale.

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Sbaglia chi pensa che i mercati siano una sorta di spectre che agisce nell’ombra e che vorrebbe governare in modo occulto. No, i mercati, gli investitori, gli analisti sono persone in carne e ossa che devono scommettere soldi, montagne di soldi, su un Paese che ha il fiato corto e che ha esaurito, dopo solo un anno, la spinta propulsiva che l’aveva accompagnato nel post-Covid. Così, lo spread ha ripreso a salire. E quest’ultimo è il vero termometro dello stato di salute di un Paese. Perché la Borsa sale o scende in maniera più “collettiva” a livello europeo e perfino mondiale (difficile immaginare giornate brillantissime a Wall Street e catastrofiche a Piazza Affari o viceversa).

Il differenziale tra il btp decennale e l’omologo tedesco è tornato a quota 180, con il rendimento al 4,51% (e ai primi di ottobre andrà collocato un nuovo buono del Tesoro quinquennale, allacciamo le cinture...). Tanto anche in un periodo di rialzo dei tassi, se si pensa che il “bono” spagnolo rende il 3,73% e l’Oat francese si ferma al 3,25%. Ad allarmare, poi, è anche la crescita negli ultimi giorni in maniera lenta ma costante. Il governo Meloni era stato accolto con parecchia sfiducia dai mercati, che avevano iniziato a “picchiare” portando lo spread fino a quota 250 punti base all’indomani della vittoria elettorale. 

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Poi però le mosse della premier e del suo esecutivo sembravano aver placato gli animi, tanto che a maggio si era scesi sotto quota 140. Poi però qualcosa si è incrinato: i mercati hanno iniziato a sentire puzza di bruciato, sono state tagliate le stime di crescita e si prevede un innalzamento del deficit. E, soprattutto, si preannuncia una nuova battaglia con l’Europa che si riassume più o meno così: “Volete più flessibilità? Firmate il Mes e ne riparliamo”. Solo che stavolta la Meloni si gioca tutto perché ha sempre dichiarato che se fosse arrivata a Palazzo Chigi non avrebbe mai avallato la firma sul Meccanismo Europeo di Stabilità. Se ora dovesse cedere alle pressioni di Bruxelles farebbe una figura magra.

E quindi sfoglia la margherita. Sapendo che venti di crisi, al di là dei piccoli afflati che arrivano da dentro la maggioranza, iniziano a spirare dall’establishment. Il Financial Times ha parlato senza mezze misure della fine della luna di miele. E il timore è che siamo solo all’inizio: la norma che tassa gli extra-profitti delle banche è stata un duplice errore. In primis perché ha fatto pensare agli investitori che in Italia si possono condurre attacchi contro aziende quotate dall’oggi al domani. In secondo luogo perché, così com’è, non verrà mai appoggiata dalla Bce. La Meloni è già finita in un cul de sac. Dopo neanche un anno di governo. 

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