Tim, l'ultima possibilità si chiama take private: ecco che cos'è

Il rischio stallo tra Tim, Kkr, Cdp, il governo, Macquarie è sempre più elevato. Da qui l'idea di un'opa su Tim e della vendita della rete allo Stato

di Marco Scotti
Economia

Tim, è finita la stagione delle offerte? Prende piede l'ipotesi "take private"

"Take private". È questo l'idea che rimbalza nelle diverse stanze dei bottoni quando si parla di Tim. Che cos'è il take private? Si tratta dell'acquisto delle azioni di una società quotata in Borsa da parte di un fondo di private equity o da una pluralità di soggetti. E questa soluzione inizia a prendere corpo perché appare evidente che ormai si sia arrivati a una situazione di muro contro muro e di veti incrociati. Cdp ha fatto un'offerta che valuta la rete 18 miliardi ma con un minore peso di Fibercop (la rete secondaria che dalla "cabina" in strada arriva nelle case degli italiani). Kkr ne ha messi due in più sul piatto ma contando FIbercop come se valesse 10 miliardi (contro i 6 di Cassa Depositi e Prestiti).

I francesi di Vivendi, dal canto loro, nonostante abbiano svalutato la loro partecipazione in Tim, non hanno alcuna intenzione di cedere un asset strategico per meno della cifra che hanno stabilito, cioè 31 miliardi. Si può ipotizzare che si arrivi a 26-27 con trattative estenuanti? È possibile, ma certo se le premesse sono queste l'accordo appare complicato. E allora si torna a parlare di take private, anche perché a Vivendi pare non sia troppo piaciuta la gestione “muscolare” con cui ci si è approcciati alla trattativa. Fosse per loro, con il consiglio di amministrazione del 15 marzo si dovrebbe concludere definitivamente la stagione delle offerte. 

È chiaro che la situazione è troppo ingarbugliata: Cassa Depositi e Prestiti ha un veto nei confronti di Kkr e il governo, che può esercitare la Golden power, deve cercare di unificare le due offerte. Fonti vicine al dossier degli americani fanno notare che se si desse il via libera all'offerta di Cassa Depositi e Prestiti e alla fusione con Open Fiber, si creerebbe una società che avrebbe circa due miliardi di Ebitda e circa 13 di debito. Tra l'altro, a quanto risulta ad Affaritaliani.it, Cdp non ha in pancia una cifra tale da poter comprare la rete di Tim e dovrebbe quindi finanziarsi. E fonti accreditate riferiscono che in questo caso si rischierebbe di usare l'Ebitda non per fare investimenti ma per ripagare il debito ulteriore.

Ma basta avvicinarsi a Via Goito per sentire tutt'altra versione. La società ufficialmente non commenta, ma fonti accreditate riferiscono che la principale accusa è che Kkr non vuole tutelare i lavoratori, mentre Cdp prevede il mantenimento dell'attuale numero di persone. Ma, è bene ribadire, oltre al valzer delle offerte più o meno riuscite, bisogna anche guardare alla corporale governance. Che è complessa e che non prevede deroghe particolari.

In molti attendono la convocazione dell'assemblea convinti che sarà risolutiva. Ma non è così. Intanto perché il consiglio di amministrazione ha la massima delega proprio da parte dell'assemblea per quanto riguarda l'alienazione degli asset. In questo caso l'assemblea si troverebbe a dover solo ratificare quanto deciso dal board. Con quale quorum? È il presidente a dover decidere. E si sa che i rapporti tra Salvatore Rossi e Vivendi non sono proprio idilliaci. Da qui si potrebbe pensare che si trovi una quota che renda meno probabile un qualsiasi tipo di veto dei francesi che si opporrebbero sia all'offerta di Cdp che a quella di Kkr, anche se venissero unificate. Perché la cifra è decisamente troppo bassa per loro e perché non valorizza un asset

Non basta: per vendere la rete bisogna anche cambiare l'oggetto sociale. Tim, infatti, è specializzata nella vendita di servizi di rete. Per una modifica così sostanziale potrebbe essere necessario alzare il quorum. Ma ancora non è finita l'intricatissima partita. Con l'uscita dal board di Frank Cadoret e Arnaud De Puyfontaine, la quasi totalità degli amministratori è indipendente. Per non rischiare azioni di responsabilità, dunque, sarà fondamentale il parere degli advisor che sono in totale quattro: Vitale, Mediobanca, Goldman ed Equita per i soli indipendenti. Perché potrebbe scattare l'azione di responsabilità?

Perché a novembre del 2021 Kkr ha offerto 0,505 euro per azione di Tim spiegando nel suo piano quale fosse la valutazione della rete, cui veniva attribuito un prezzo, pare, di 25 miliardi. È vero che ora ci sono tassi differenti e quindi finanziarsi è più caro, ma non si può certo scendere a 18 miliardi. È ipotizzabile che si arrivi a 22-23 miliardi? Possibile. Ma certo si sarebbe ancora molto lontani dalla valutazione fatta in primis da Vivendi. E se si scendesse ulteriormente i consiglieri rischierebbero un'azione di responsabilità, perché in molti chiederebbero: "Come mai avete rifiutato un'offerta da 25 e ora ne accettate una inferiore?". Ricordiamo oltretutto che nel board di Tim siede anche Giovanni Giorno Tempini, che è il presidente di Cdp.

Dunque si torna all'inizio: il take private. L'opzione sarebbe quella di un'opa, con il delisting dell'azienda e la cessione della rete allo stato in cambio di una cifra da definire. Magari non 31 miliardi ma certo neanche 18. A quel punto però si rischierebbe che lo stato esercitasse la Golden power. Ma qui si sale di un gradino ancora: davvero l'Italia potrebbe mettersi a fare la guerra a una società francese mentre ci si sta battendo per rivedere il patto di stabilità? Parigi è al fianco di Roma contro i Paesi più "oltranzisti", ma è difficile pensare che non ci sarebbero ripercussioni. 

Tim è finita, per restare in Francia, in un cul de sac. O si trova rapidamente una soluzione o si rischia che l'azienda continui a navigare a vista mentre, magari, inizierà la triste trafila delle carte bollate. Per il Paese, per un'azienda che è stata un centro d'innovazione mondiale, per chi ci lavora con passione sarebbe davvero un peccato. Serrare le fila e trovare una soluzione. Altra strada non c'è. 

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