Berlusconi vs De Benedetti, il fil rouge del trentennio stravinto da Silvio

Dopo la morte di B. i cronisti hanno omesso di raccontare il cuore della vicenda: il duello personale, imprenditoriale e politico tra il Cav. e l'Ingegnere

Di Angelo Maria Perrino
Politica

Berlusconi-De Benedetti, due ego narcisi e irrefrenabili che hanno dato vita a una battaglia eclatante. Le radici dello scontro di potere. Analisi 

Accecati dalla partigianeria e dalla emotività, giornalisti e opinionisti di destra e di sinistra hanno del tutto ignorato e omesso, nel racconto dei fasti e nefasti del trentennio berlusconiano, l'elemento chiave, il fil rouge della vita personale, imprenditoriale e politica del Cavaliere di Arcore: l'efferato scontro di potere, senza esclusione di colpi, con Carlo De Benedetti. L'Ingegnere piemontese che ha cercato in tutti i modi di sovrastarlo e annientarlo, che lo ha duramente ammaccato ma non è mai riuscito a finirlo. Due ego analogamente narcisi e irrefrenabili, partiti entrambi da zero all'inizio degli anni '70, Ingegnere e Cavaliere, odiandosi, hanno dato vita a un duello talora eclatante ma sempre sordo e violento di tipo non solo personale, bensì imprenditoriale e politico.

Tutto cominciò all'inizio degli anni ‘80 con lo scontro di Segrate per il controllo del gruppo Mondadori- Repubblica -Espresso. Si concluse con un armistizio e una spartizione mediati da Giulio Andreotti: a Berlusconi, appoggiato dal segretario del Psi Craxi, andò la Mondadori (prevalentemente libri, avendo già il controllo delle tv private), a De Benedetti toccò la ciccia giornalistica che avrebbe fatto la sua fortuna: il quotidiano più venduto e influente - Repubblica di Scalfari e di tutte le grandi firme radical chic - il settimanale d'assalto l'Espresso, una catena di fortissimi ben radicati quotidiani locali, il colosso pubblicitario Manzoni e un arcipelago di radio private.

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A guadagnarci fu De Benedetti, legato alla lobby della sinistra Dc guidata da Ciriaco De Mita, che da discusso finanziere si trasformò da un giorno all'altro nell'editore più importante e temuto. E allo scontro per il potere governativo tra il democristiano De Mita e il socialista Craxi, si sostituì gradualmente la sfida diretta tra i loro supporter: De Benedetti contro Berlusconi. Divenuta poi battaglia politica di Forza Italia (e poi centrodestra) contro il Pd, di cui Benedetti divenne tessera numero uno e il gruppo Espresso- Repubblica, house organ battagliero.

Questo è stato il vero leit-motiv dei passati trenta anni: De Benedetti e Berlusconi erano marxianamente la struttura e i capi dei due schieramenti. La politica con i suoi protagonisti pubblici era solo la sovrastruttura manovrata, come si fa con le marionette,da fili invisibili azionati dai quartieri generali di corso Indipendenza o Ivrea e via Ciovassino a Milano (gruppo De Benedetti-Repubblica) contro i fili mossi da Arcore e Segrate per mano di Berlusconi e dei suoi uomini.

De Benedetti, l'uomo delle Brooks Brother botton down che parlava inglese, sempre all'assalto, forte del trascinamento, con i propri giornali, di tutta l"intellighenzia dell'establishment”: magistrati in primis, giuristi, opinion leader, cattedratici, chierici, burocrati, artisti... Tutto il mondo progressista e radical chic, insomma, in servizio permanente effettivo.

Berlusconi, uomo di format e show, ciprie e paillettes, a parare i colpi con i suoi mezzi, scendendo personalmente in politica e sfruttando le sue capacità seduttive sui ceti popolari e medio borghesi e sulle donne. Trent'anni da rileggere con questi occhiali, se si vuol capire la storia recente del Belpaese.

Chi ha vinto, infine? Con obiettività va detto che De Benedetti, centometrista ben visto e risparmiato dalla magistratura grazie al furbo posizionamento politico suo e dei suoi giornali, era vincente nelle singole battaglie. Berlusconi è spesso finito sotto subendo un pressing giudiziario asfissiante (condanne, multe, decine di processi mediaticamente amplificati con cura e metodo, sputtanamento sistematico e delegittimazione morale politica) culminato con il risarcimento monstre da 494 milioni del luglio 2013. Ma alla fine si è sempre rialzato, come Ercolino sempre in piedi. E alla lunga ha vinto lui. Perché ha unito in se' (in spregio dei sottili, delicati equilibri costituzionali) il potere mediatico con quello finanziario e politico. In un cocktal micidiale risultato imbattibile.

E ora, a fine corsa, il Cavaliere esce di scena con gli onori dell'uomo di Stato, i funerali solenni nel Duomo di Milano e il lutto nazionale, davanti a mezzo mondo e a tanti capi di governo, lasciando ai suoi uomini e alle sue donne aziende floride e un patrimonio di ben 8 miliardi.

De Benedetti irrancidisce e rosica solitario in Svizzera, dove ha portato la sua residenza e la sua ormai scarna denuncia dei redditi, dopo essersi liberato di quello che è stato il più grande gruppo editoriale italiano deperito tra le sue mani sotto i colpi della rivoluzione digitale, sbolognato ai figli ingrati che hanno pensato bene di rifilarlo velocemente agli Agnelli-Elkann. E se non fosse per l'amica Gruber che periodicamente lo rivitalizza intervistandolo come imprenditore illuminato e inspired, non gli resterebbe che qualche passeggiata nei boschi di St Moritz. Sic transit gloria mundi.

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