Dal governo con Salvini a Berlinguer: l'ultima metamorfosi di Conte

Da Premier, "Giuseppi" chiudeva i porti. Ora, il numero uno del Movimento 5 Stelle si professa erede del leader del Pci

Di Giuseppe Vatinno
Politica

"Noi eredi del leader del Pci". L'ultima metamorfosi di Giuseppe Conte

Giuseppe Conte è un tipo indubbiamente tosto che è riuscito dove politici di professione hanno fallito. Ricordiamo che l’avvocato pugliese è riuscito a fare fuori nell’ordine: Luigi Di MaioMatteo Salvini e Mario Draghi e quasi Matteo Renzi che ha preferito far cadere il governo giallo – rosso con lui dentro, rinunciando allo strategico ruolo di ago della bilancia.

Altre vittime illustri sono state poi lo stesso Beppe Grillo, a cui ha sfilato il partito sotto il naso senza che se ne accorgesse e Davide Casaleggio a cui ha sfilato Rousseau che invece se ne era inutilmente accorto. Dunque un curriculum di tutto rispetto per chi fino a pochi anni fa era uno sconosciuto avvocato civilista.

Il caso e non certo la necessità ha voluto che si trovasse ad essere poi Presidente del Consiglio durante la pandemia che governò, come si ricorda, con continui lockdown e DPCM dalla dubbia consistenza istituzionale. La necessità e non il caso ha voluto invece che fosse supportato nella comunicazione dall’ex Grande Fratello Rocco Casalino, ora scomparso completamente dai radar della politica con un rilevante sollievo dei giornalisti.

Dicevamo che Conte è una creatura di Di Maio ma il nome gli fu suggerito da Alfonso Bonafede, conosciuto confidenzialmente come “Fofò”, poi ministro di Giustizia. Si pensò allora ad una sorta di Presidente del Consiglio per procura, che però fin da subito si mostrò abilissimo a intortare tutti e a consolidare il suo potere. I fatti sono noti. Dopo il Papeete, Salvini fu estromesso e nacque il secondo governo Conte, quello giallo – rosso con il Pd fino all’epilogo di Renzi.

Poi lo scaltro “Giuseppi” fece cadere addirittura Mario Draghi portando la destra alla vittoria nelle elezioni anticipate. Se qualche cero bisogna accendere lo dovrebbe fare Giorgia Meloni a Giuseppe Conte. L’altro giorno, da un circolo di Ostia, località balneare di Roma, si è fatto fotografare con l’immagine di Enrico Berlinguer sullo sfondo dicendo “gli eredi siamo noi”.

Tutto molto bello, tutto molto coreografico, tuttavia tutto molto impudente e non rispettoso non solo della figura di Berlinguer, ma anche di quella etica politica che non andrebbe mai delusa. Insomma, è vero che l’Italia è il Paese del trasformismo ma passare da essere “l’avvocato del popolo”, come si definì nell’alleanza di destra con Salvini, ad “erede di Berlinguer” è francamente troppo.

Conte è stato destro con i destri, populista con i populisti, democristiano con i democristiani, sinistro con i sinistri. Una ipostasi di Zelig che farebbe arrossire l’originale di Woody Allen.

Ora il tentativo di appropriarsi dell’immagine simbolo della sinistra, approfittando della profonda crisi del Partito democratico in cerca di una identità e di una bussola politica. Come può uno che si faceva le foto con Salvini con i cartelli inneggianti al decreto sicurezza contro i migranti adesso essere passato armi e bagagli dall’altra parte?

Come può un Presidente del Consiglio che ai tempi in cui i Cinque Stelle scimmiottavano il sovranismo populista in salsa peronista andare a braccetto con un Presidente Usa come Donald Trump ed ora fingere di essere divenuto democratico e sostenitore di Joe Biden? E lasciamo perdere la confusione che ha mostrato lo scorso Natale a Cortina tra le cinque stelle dei costosissimi Hotel e le cinque stelle del Movimento. È vero che la politica è l’arte del possibile, ma c’è un limite a tutto.

Tags:
berlinguercontesalvini