Eutanasia: Referendum bocciato e Parlamento fermo, ma la sofferenza continua

La decisione della Corte Costituzionale ribalta sulla politica la responsabilità di una scelta da troppo tempo rimandata, dimenticandosi dei malati

Di Lorenzo Zacchetti
Marco Cappato e Giuliano Amato (Lapresse)
Politica
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Tra fine vita e fine legislatura

Comunque la si pensi sull’eutanasia, merita il massimo rispetto il dibattito a distanza tra Giuliano Amato e Marco Cappato. Il primo, fresco presidente della Corte Costituzionale, ha scelto l’irrituale strada di una lunga conferenza stampa per spiegare le ragioni della bocciatura dei referendum (anche quello sulla cannabis), sciorinando alte considerazioni giuridiche dall’alto della sua indiscussa competenza. E magari anche gratificando un po’ il suo ego, dopo anni di assenza dal dibattito pubblico, interrotti solo recentemente dalla proposta del suo nome per il Quirinale, poco prima di approdare alla Consulta. L’altro, instancabile lottatore per la causa dei diritti civili, ribatte colpo su colpo, promettendo che la battaglia non finisce qui e contestando anche nel merito le motivazioni della Corte. E lo fa con la credibilità di chi ha messo a rischio la propria libertà personale per cambiare le cose, dimostrando nuovamente come si possa incidere sui destini della collettività senza far parte delle istituzioni. Questo però deve farci riflettere. Il livello del confronto tra Amato e Cappato stride con l’assoluto immobilismo del Parlamento, che da anni tergiversa sul tema del fine vita. Non che sia facile trovare una soluzione, visto che la questione riguarda tutti, ma ognuno ha legittimamente un’idea diversa in merito. È ulteriormente complesso barcamenarsi nell’equilibrio precario tra la laicità dello Stato e l’evidente influenza del pensiero cattolico, che va comunque rispettato anche dai non credenti, come elemento culturale. A maggior ragione, non c’è da essere ottimisti con questo Parlamento, ormai prossimo alla scadenza naturale del 2023 e comunque decisamente poco incisivo, come dimostra il fastidio di Draghi per le pochissime occasioni nelle quali i rappresentanti del popolo hanno osato contraddirlo.

Morire con dignità costa 10.000 euro

Se un milione e 200.000 italiani hanno apposto la loro firma sulla proposta di referendum sull’eutanasia è perché si sono rotti le scatole di aspettare i comodi della politica ed esigono di dire la loro sul tema. Già, perché mentre il Parlamento non adempie al proprio compito di legislatore, la vita dei cittadini continua e, con essa, continuano anche la malattia, la sofferenza, la disperazione e la morte, che in certe condizioni è veramente orrenda. Va dato merito a “Piazzapulita” di aver riproposto nella sua ultima puntata il commovente reportage sull’eutanasia di Loris Bertocco, che nel 2017 ha scelto di andare in Svizzera per mettere fine al proprio calvario. Credo che la sua sofferenza andrebbe fatta vedere a tutti i parlamentari anche forzosamente, per far loro capire le pesanti conseguenze dell’ignavia istituzionale. Anche chi proprio non concepisce l’idea di mettere volontariamente fine alla propria vita non potrà che convenire sul fatto che Loris e i suoi cari, costretti a quell’ultimo struggente viaggio fuori confine, sono stati sottoposti ad un ulteriore patimento, oltre a quelli già somministrati dal destino. Almeno l’ultimo si sarebbe potuto evitare, senza contare che lui e DJ Fabo se lo sono potuti permettere, mentre altri malati altrettanto gravi non hanno la stessa possibilità (il costo è di circa 10.000 euro).

Il testamento morale di Loris Bertocco

Visto che il referendum non si farà, le ultime parole di Loris dovrebbero risuonare nella coscienza dei parlamentari e stimolarli a produrre finalmente una legge, quale che sia: “Il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul ‘testamento biologico’ e sul ‘fine vita’ di cui si parla da tanto, che ha mosso qualche passo in Parlamento, ma che non si giunge ancora a mettere in dirittura d’arrivo. In altri paesi è da tempo una possibilità garantita. Vorrei che, finalmente, lo fosse anche in Italia. Questa mia volontà, e questa mia scelta, non sono in contraddizione con la lotta per una vita indipendente da garantire comunque, anzi. Vi sono situazioni che, infine, evolvono inesorabilmente verso l’insostenibilità. Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive. Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità”.

 

“Gli ultimi giorni di Loris Bertocco”
 

 

Alessandro Haber legge l’ultima lettera di Loris Bertocco
 

 

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