Si nasconde dietro il sorriso sguaiato dell’assiduo frequentatore delle movide ,di chi non si cura di regole e consigli di buon senso.
É l’atteggiamento di chi crede di poterla fare sempre franca, irresponsabili a vario titolo, spavaldi e compagnia.
Ma se osservate bene le nostre strade, le nostre piazze la paura c’è, permea l’atmosfera, ci costringe ad un atteggiamento sospettoso, di incredulità e diffidenza, per cui il danno collaterale più grande ormai è dentro di noi.
Si attendono i dati come i risultati del campionato di calcio (senza aver giocato la schedina), è il bollettino più seguito dopo l’oroscopo di Paolo Fox, il covid uccide anche senza le terapie intensive, è uscito dalle RSA per occupare i tavolini dei Navigli. E da li non si sposterà facilmente anche se i balli sull’orlo dell’abisso continuano.
A che serve il plexiglass, le mascherine glamour, il tanto decantato distanziamento sociale (??) se gli uomini vivono e si esprimo attraverso variegate empatie, e limitare orari, luoghi e funzioni non servirà perché lo smart working imposto non potrà salvarci dalle più elementari necessità sociali.
Ma la paura, come la calunnia, è un venticello che si insinua nelle pieghe della mente di tutti, e ci spinge a spostarci sul bordo del marciapiede e aspettare l’ascensore successivo, è un meccanismo psicologico indotto che non dipende dalle reali pericolosità di qualsiasi momento ma, dalla percezione che di quell’evento si ha.
La pandemia è diventato influenza, dicono, ma intanto pochi credono nella forza biologica dei propri anticorpi, e la variabilità delle convenzioni scientifiche e mediche non aiutano a guardare con la dovuta attenzione lo sviluppo di questa “seconda fase” tanto temuta, quanto sottovalutata.
Non è tempo di esagerazioni perché la nazione vive con i nervi scoperti, e con preoccupazioni ben maggiori dell’agognato tampone, e i danni psicologici del mondo contagiato e fragile sono ancora tutti da analizzare, anche se l’estate, la nostra solita meravigliosa estate ha avuto la capacità di farci dimenticare tutto per qualche settimana, poi siamo tornati alla realtà.
E’ cambiata la nostra percezione del pericolo, che forse era scemato in questi mesi dopo una delle tragedie più grandi, ancora tutta da analizzare e da sistematizzare ma, la normalità è ancora lontana da recuperare perché sono cambiate molte condizioni del nostro vivere quotidiano e non sempre in peggio, anzi.
La paura che nasce dalle limitazioni fisiche e psicologiche modifica (e forse per sempre) il nostro modello di socialità, cambiano i comportamenti e in generale si diventa altro da quello che eravamo prima, la stessa esplosione caciarona delle movide ci appare diversa, come una catarsi, quasi la volontà di ritrovare un modo qualsiasi per esagerare.
Siamo usciti (e forse rientrati) in un percorso di compressione delle nostre capacità espressive, non possiamo reprimere l’intrinseca volontà umana di essere liberi, in perfetta autonomia e senza orari.
Questa brutta bestia ci ha costretto ad auto-limitarci, a controllarci anche nei confronti di un nemico subdolo e diffuso, permeabile e privo di sintomi apparenti, almeno in questa fase, e dopo la catastrofe abbiamo immaginato di poterlo controllare, con piccoli accorgimenti e qualche attenzione in più.
Ma dentro rimane, in ciascuno di noi, lo sguardo di chi ha subito il contagio, ha vissuto grandi e piccole vicissitudini, che in parte hanno cambiato la vita di migliaia e migliaia di italiani, che pur sopportando con ordine, alcune imponenti restrizioni hanno dato un tempo massimo a questo limite esistenziale.
Ora torna quella percezione di pericolo con la differenza di chi, avendolo vissuto, immagina di poterlo controllare, e se siamo riusciti a non annegare nel mare in tempesta dobbiamo dimostrare a noi stessi e agli altri che non possiamo mantenere il controllo delle nostre confusioni e delle nostre emozioni.
Solo questo potrà salvarci, veramente.
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