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Coronavirus
Covid, dai governi gestione sbagliata: Oms vittima della rivalità Usa-Cina

Dopo circa un anno di Covid il Journal of the American Medical Association, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo (pubblicata dalla American Medical Association), fa a pezzi la gestione sanitaria adottata dai governi di tutto il mondo, con un’analisi del professor Lawrence O. Gostin, specializzato in diritto della salute pubblica.

“Cosa è andato storto” di chiede il professore americano che mette all’indice soprattutto la gestione degli Stati Uniti: nell'affrontare la pandemia gli Usa hanno avuto una delle performance “più povere” dello scenario, con risultati, visti i deceduti, tra i peggiori.

Ma oltre gli Stati Uniti ciò che emerge a livello mondiale è un “fallimento precoce del sistema sanitario globale”. A macchiare il quadro prima di tutto ci sono stati “notevoli ritardi nella segnalazione della Cina e sulla veridicità delle informazioni fornite all'Oms”. Lo stesso “Ipppr”, scrive la rivista, cioè il gruppo indipendente per la preparazione e la risposta alla pandemia istituito dallo stesso direttore generale dell'Oms, ha concluso che il sistema di allarme globale e il potere dell'Oms, di verificare i fatti chiave, non sono stati "adatti allo scopo". Un’inadeguatezza di fondo che inficia la risposta generale sotto ogni profilo.

Nella realtà dei fatti l’Oms è stata allertata tramite notizie e social media e non dalla Cina che ha mancato di confermare informazioni. Ad esempio “a causa della mancanza di rapporti accurati e completi”, scrive il Journal of the American Medical Association, “l'Oms ha continuato a pubblicare informazioni inesatte sulla trasmissione da uomo a uomo”.

Di conseguenza “i fallimenti collettivi sono stati ancora maggiori”, spiega la rivista. Tradotto: se in alto fanno disastri in basso si segue l’esempio. E fa l’elenco dei comportamenti insensati come il crescere della sottovalutazione della scienza in generale, la debolezza delle infrastrutture sanitarie pubbliche nazionali e la resistenza del pubblico ad adottare misure di mitigazione del rischio, come ad esempio indossare le mascherine quando è opportuno.

Fondamentalmente l’Oms è stata vittima del conflitto geopolitico tra Stati Uniti e Cina. Questa fragilità dell’Organizzazione si è ulteriormente amplificata con il corto circuito delle istituzioni che hanno accentuato i comportamenti insensati delle popolazioni.

“L'Oms ha concluso il 9 febbraio”, spiega Gostin, “che l'epidemia iniziale a Wuhan era molto probabilmente avvenuta naturalmente, piuttosto che per una perdita accidentale dal Wuhan Institute of Technology, ma ha dato credito all'idea che Sars-CoV-2 provenisse da una spedizione di animali dall'estero. Anche ora, c'è poca trasparenza riguardo alla portata dell'accesso dell'Oms a posizioni geografiche chiave, dati completi e discussioni aperte con operatori sanitari e scienziati cinesi”.

Nella maggioranza dei Paesi del mondo si è stati “lenti ad agire”, nella “sorveglianza, nei test e nel tracciamento dei contatti”.

Una discrasia con si ripete nell’approvvigionamento dei vaccini e nella disparità di opportunità tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Questa gestione ha devastato le economie e “continuerà ad affliggere la salute delle società negli anni a venire”. Per questo gli appelli a reinventare e ricreare sistemi per la sicurezza sanitaria non devono rimanere inascoltati ma uno strumento per alzare l’attenzione “sugli avvertimenti per future pandemie”.

Una lezione che dovrebbe insegnarci come mettere in piedi sistemi in grado di rilevare le infezioni e verificarne la portata. In questo senso l’Oms dovrebbe essere meglio finanziata dagli Stati nazionali. “Il budget semestrale dell'agenzia”, scrive Gostin, “varia in genere tra 4 miliardi - 5 miliardi di dollari (circa quello di un grande ospedale statunitense), con circa tre quarti destinati a specifiche iniziative di donatori”. Una Oms così è troppo fragile, e si barcamena tra inerzie e incertezze. All’inizio del Covid, avrebbe almeno dovuto agire in un’ottica “di allarme intermedio”, invece di temere una propria reazione eccessiva che avrebbe mandato nel panico le popolazioni.

L’articolo de il Journal of the American Medical Association va in sintonia con un altro clamoroso pezzo pubblicato ad ottobre da The New England Journal of medicine, dal titolo “Dying in a Leadership Vacuum” (Morire in un vuoto di leadership) a firma degli editori, che imputava all’inadeguatezza della politica l’amplificazione della crisi pandemica.

“L'entità di questo fallimento è sorprendente”, scrivevano gli editori e le dinamiche sviluppatesi negli Stati Uniti davano il polso della situazione: “Il tasso di mortalità in questo Paese (gli Usa, ndr) è più del doppio di quello del Canada, supera quello del Giappone, un Paese con una popolazione vulnerabile e anziana, di quasi 50 volte, e addirittura fa impallidire i tassi nei Paesi a reddito medio-basso, come Vietnam, di quasi 2000 volte. Il Covid-19 è una sfida schiacciante e molti fattori contribuiscono alla sua gravità. Ma quello che possiamo controllare è come ci comportiamo. E negli Stati Uniti ci siamo comportati costantemente male”.

Il Paese guida occidentale, gli Stati Uniti hanno fallito in quasi ogni fase della gestione eppure gli Usa hanno tutti i mezzi e le strutture dal punto di vista produttivo, industriale e sociale per contrastare la pandemia.

Un quadro disarmante, quello immortalato da The New England Journal of medicine, che come negli Usa si è messo in mostra in ogni Paese. Gruppi dirigenti scadenti si sono visti in quasi ogni situazione. Anche per questo motivo “il duro lavoro degli operatori sanitari, che hanno messo a repentaglio la propria vita, non è stato utilizzato con saggezza”, scrive la rivista americana. Sono stati lasciati soli, come viene sostenuto da più parti, a combattere a mani nude contro la pandemia con i risultati e le conseguenze che ancora oggi stiamo vivendo.

 

 

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