In India, il virus con la corona, il Sars-cov2, da aprile, è tornato ad uccidere. La pandemia da Covid, che aveva già interessato il 60% della popolazione, sembrava lontana, quando la curva dei contagi è risalita. Complici le manifestazioni religiose di massa ed i molti appuntamenti politici, ma anche le caratteristiche di un paese che, se da una parte è uno dei pochi cresciuti nel 2020 (FMI +1,9), insieme alla Cina (+1,2), dall'altro, ha un sistema di disequità castale ed una popolazione che supera il miliardo. Affaritaliani ne ha parlato con l'Ambasciatore d'Italia a Nuova Delhi, Vincenzo De Luca.
Ambasciatore, in India è tornato il covid, come un nuovo tsunami?
In effetti, il Paese sta attraversando un’aggressiva e virulenta seconda ondata del contagio, con oltre 300 mila casi giornalieri ed i picchi nelle grandi città, in particolare a Nuova Delhi. Anche il tasso di mortalità è in netto aumento rispetto alla prima ondata: ufficialmente vi sono più di 3000 decessi al giorno. Colpisce davvero molto la rapida avanzata del virus in soli pochi giorni.
Secondo alcuni medici indiani, lo scorso anno, il contagio non aveva avuto questi numeri, nè questa modalità. Può dirci quali misure erano state messe in campo dal governo ieri, rispetto ad oggi?
Quando scoppiò la pandemia, nel marzo 2020, il Governo indiano adottò un lockdown in tutto il paese: divieto di circolazione, eccetto che per alcune categorie. Si trattò di misure necessarie a rafforzare le infrastrutture sanitarie e a dotare il sistema delle risorse per affrontare l’emergenza. Il lockdown fu, poi, gradualmente sollevato a maggio. In questa seconda ondata, gli Stati e Territori dell’Unione stanno adottando misure più o meno restrittive per contenere l’avanzata del virus, a seconda dell’andamento dell’epidemia, nelle loro giurisdizioni.
Alcuni medici indiani hanno sottolineato che anche la popolazione già infettata si sia riammalata, probabilmente con un virus mutato, la variante indiana, di cosa si tratta?
Gli scienziati e gli epidemiologi di tutto il mondo stanno osservando con attenzione la “variante indiana”, a doppia o tripla mutazione. I primi studi condotti in India sembrerebbero confermare la maggiore contagiosità del ceppo virale, vista la rapidità di propagazione. Sembrerebbe anche che, rispetto alla prima ondata, il virus si stia diffondendo maggiormente tra i giovani, nella fascia di età 20-40. La comunità scientifica ritiene, tuttavia, che sia ancora presto per poter avanzare ulteriori conclusioni.
L'India, nel mondo è uno dei paesi di punta per la capacità produttiva di siringhe. Alcune fabbriche hanno ritmi di 6000 al minuto; perfino l'industria farmaceutica è all'avanguardia. Come è stata utilizzata questa "potenza di fuoco" per gli interessi della popolazione?
L’India è considerata la farmacia del mondo: ospita oltre 3000 aziende farmaceutiche, oltre 10 mila impianti produttivi e, si stima, che il suo valore raggiungerà i 130 miliardi di dollari entro il 2030. E’ senza dubbio una potenza farmaceutica ed un attore globale fondamentale anche per la produzione di farmaci, impiegati nelle cure del Covid. Non solo, ma è anche un hub per la produzione di vaccini ed ha subito iniziato ad esportare dosi verso i paesi partner nell’ambito della c.d. “Vaccini Maitri”, l’amicizia del vaccino.
Rispetto ai vaccini contro il covid, esistono brevetti indiani, oppure vengono prodotti in India vaccini della Big pharma?
Vi sono diversi vaccini autoctoni ancora in fase di sperimentazione. Tra questi, l’unico approvato in via sperimentale ed autorizzato all’uso emergenziale è il COVAXIN, prodotto dalla Bharat Biotech di Hyderabad. L’altro vaccino in commercio è il Covidshield, prodotto dal Serum Institute of India a Pune, su licenza di AstraZeneca Oxford.
La campagna vaccinale era già partita, cosa non ha funzionato?
La campagna vaccinale è partita a gennaio 2021 e procede ora a ritmi serrati, grazie anche ad una maggiore propensione della popolazione a riceverla. A partire dal 1 maggio potranno vaccinarsi tutti gli individui che abbiano compiuto i 18 anni. Ad oggi, sono state inoculate ben 135 milioni di dosi, con un ritmo di 3 milioni di dosi al giorno. Sono ritmi incoraggianti per una popolazione che supera il miliardo.
In questa fase, esiste una emergenza indiana che dovrebbe richiamare la solidarietà internazionale a favore della popolazione colpita. Cosa manca di più?
Se abbiamo imparato una lezione dall’emergenza Covid è che la salute è un bene pubblico globale e che come tale vada preservata dalla comunità internazionale. In questo anno e mezzo abbiamo assistito ad una rinnovata collaborazione tra Stati, in particolare tre le comunità scientifiche di tutto il mondo, che hanno unito gli sforzi per studiare, analizzare e trovare soluzioni al problema. Siamo riusciti ad individuare vaccini e cure in tempi record. Dobbiamo continuare così: alimentare la collaborazione internazionale, rafforzando gli strumenti ed i forum multilaterali esistenti. In tale contesto, il Global Health Summit, organizzato dalla Commissione Europea e dall’Italia, in qualità di Presidente del G20, che sarà digitale ed avrà luogo il prossimo 21 maggio, ha lo scopo di rilanciare gli strumenti di collaborazione internazionale e rafforzare l’impegno degli Stati nella lotta e nella prevenzione delle emergenze sanitarie. Oltre a consolidare un mondo più equo e sostenibile.
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