L'ironia è una cosa seria

Di Maria Martello*
La vecchia storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto è molto più complessa di quello che si crede. Coinvolge direttamente la nostra rappresentazione del mondo ed il rapporto con la realtà. Non si tratta, infatti, di negare l'aspetto positivo o negativo dell'esistenza, quanto di vedere in un evento o in una persona anche l'altra faccia, spostare l'angolo di osservazione.
Ironia è parola antica, dal greco "eironeia", "finzione", un forma raffinata di rapporto con la realtà, che i filosofi greci, primo fra tutti Socrate, esercitavano per "aprire" varchi nuovi di conoscenza: un processo di "messa a nudo" della persona che, proprio attraverso l'espediente di un ironico chiedere "perché?", alla fine svelava la sua reale natura. Socrate, infatti, fingeva di non sapere ed in questo atteggiamento profondamente ironico, innescava un meccanismo di progressiva caduta di certezze assolute e lenta emersione di verità profonde.
Così è la sua "arte maieutica" altra parola greca che significa "ostetricia", nella nota rappresentazione di questo personaggio da parte del suo allievo Platone: quel lento processo di "uscita" della verità da noi stessi, quasi come se fosse un parto, che ha nell'ironia il suo punto forte. Trovare la risposta facendo sempre domande è proprio l'atteggiamento di chi non si accontenta di quello che vede, dei ruoli recitati, e vuole, in qualche, modo far cadere il velo. Ma l'ironia è solo l'ultima tappa di un lungo ed elaborato percorso che parte dal semplice istinto del "ridere" ed arriva ad una delle forme più raffinate di conoscenza ed interpretazione della realtà: l'umorismo ed i suoi dintorni.
Ridere e piangere sono le prime reazioni che abbiamo, quando, appena nati, apriamo gli occhi sul mondo: nessuno ce lo insegna, accade in risposta agli impulsi che riceviamo dall'esterno. Malessere per bisogno insoddisfatto uguale pianto, benessere per bisogno soddisfatto uguale sorriso: da qui siamo passati tutti. E' solo con la crescita, anche della consapevolezza, che scopriamo le cause del nostro piangere e del nostro ridere, anche se continuiamo a farlo lo stesso. E' un viaggio anche questo: dai sorrisi dei primi mesi di vita al riso delle prime forme di conoscenza e di riconoscimento del mondo, dei volti, dei suoni. Già a partire dalla fine del primo mese di vita, il bambino sorride alla voce della madre ed alle sue carezze: col tempo poi, il sorriso diventa una vera e propria forma di comunicazione . Cominciamo a ridere già a partire dal quarto mese, da quando, cioè, diversifichiamo le nostre reazioni agli stimoli esterni: non solo esprimiamo il benessere, ma anche la fine di un malessere.
Se non siamo vissuti un ambiente in cui sorridere faceva parte dei gesti quotidiani è molto probabile che non abbiamo interiorizzato questa modalità, non possiamo però privarcene e dobbiamo decidere di acquisirla e trarne i vantaggi che comporta. Dobbiamo noi quindi rieducarci per diventare quelle persone così piacevoli che chiunque desidera incontrare sulla sua via.
* Docente di Psicologia dei rapporti interpersonali. Formatrice A.D.R. Mediatrice dei conflitti. Autrice di Sanare i conflitti (Guerini e Associati Editore, Milano, 2010) nonché di Oltre il conflitto; Intelligenza emotiva e mediazione (McGraw-Hill, Milano, 2003); Conflitti, parliamone. Dallo scontro al confronto (Sperling e Kupfer, Milano, 2006); Mediazione dei conflitti e counselling umanistico. Lo spazio della formazione (Giuffrè, Milano, 2006); L'arte del mediatore dei conflitti Protolli senza regole, una formazione possibile (Giuffrè, Milano, 2008); Educare con SENSO senza disSENSO. La risoluzione dei conflitti con l'arte della mediazione (Franco Angeli, Milano, 2009); Mediatore di successo. Cosa fare/Come essere (Giuffrè Editore, Milano, 2011).
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