Lo shopping compulsivo? Non è per forza da psichiatrizzare
Di Donatella Marazziti, dell'Università di Pisa
Il Dsm (recentemente giunto alla versione V) non è una Bibbia dogmatica, nè qualcosa da demonizzare: è uno strumento utile e perfettibile che serve a costruire un linguaggio comune tra gli psichiatri. E' indubbio che il manuale risenta della forte influenza culturale anglosassone tendente a schematizzare e oggettivamente lontana dalla tradizione psicopatologica europea ma alcune critiche specifiche sono ingenerose e bisogna dirlo.
Non è vero che bastano due o tre sintomi per rientrare nell'ambito di una patologia ma ce ne vogliono almeno il doppio e con un lasso temporale specifico: se fosse così ognuno di noi si ritroverebbe in tutti i disturbi elencati, specialmente in quelli più gravi.
Le obiezioni che condivido riguardano alcune tendenze a psichiatrizzare tutto: per esempio sul gioco d'azzardo patologico o sullo shopping compulsivo bisogna tenere conto delle soggettività e non arrivare a una patologizzazione di comportamenti che, se non inficiano gli aspetti socioeconomici della persona, sono del tutto normali.
Non ho condiviso l'eliminazione del disturbo ossessivo compulsivo dai disturbi d'ansia perchè per me rimane tale. Il lato positivo è che si è rafforzata la parte del decadimento sociale e lavorativo come precondizione per emettere diagnosi.
La sostanza è che il dsm è in continua evoluzione e presenta molte criticità, al punto che spesso le revisioni avvengono in tempi relativamente brevi. Ci sono condizioni della vita che sottendono la normalità ( come reagire con dolore a un lutto grave in un tempo determinato ) mentre altre situazioni, prese singolarmente, riguardano, ripeto, ognuno di noi e non rappresentano alcun significato patognomonico