"Dire vipera alla suocera non è reato". Genero assolto in Cassazione
"Mia suocera come una vipera": una frase che, se pronunciata in un "contesto di rapporti tesi" ma senza ledere "l'onore e il decoro" altrui, non puo' giustificare una condanna per ingiuria. Lo si evince da una sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio "perche' il fatto non sussiste" la condanna per ingiuria aggravata, con il risarcimento del danno alla parte offesa, inflitta a un 44enne dal tribunale di Nicosia. L'uomo era finito sotto processo per aver pronunciato alla presenza di piu' persone la frase "e' scesa mia suocera come una vipera".
La Suprema Corte ha dichiarato fondato il ricorso dell'imputato sottolineando che "l'espressione e' stata pronunciata dal ricorrente in un contesto di rapporti tesi", con "acredine personale a causa di fatti pregressi, che hanno portato a questioni giudiziarie", legati a "un quadro di conflittualita' derivante dalla crisi del rapporto" dell'uomo con la figlia della parte offesa. La frase 'incriminata', osservano i giudici di piazza Cavour, non era stata indirizzata alla suocera, ma era "stata utilizzata dal ricorrente per descrivere agli agenti intervenuti l'azione della donna 'scesa come una vipera'". Dunque, "se e' vero che il reato di ingiuria si perfeziona per il sol fatto che l'offesa al decoro o all'onore della persona avvenga alla sua presenza, e' altrettanto vero - si legge nella sentenza - che non integrano la condotta di ingiuria le espressioni verbali che si risolvano in dichiarazioni di insofferenza rispetto all'azione del soggetto nei cui confronti sono dirette e sono prive di contenuto offensivo nei riguardi dell'altrui onore o decoro, persino se formulate con terminologia scomposta o ineducata".
Infatti, ricorda la Cassazione, "la valenza offensiva di una determinata espressione deve essere riferita al contesto nel quale e' stata pronunciata, tenendo conto, tra l'altro, dello standard di sensibilita' sociale del tempo". Alla luce di questi principi, quindi, la frase dell'imputato "pronunciata all'esito di un contrasto che aveva determinato l'intervento delle forze dell'ordine e per descrivere, nella concitazione del momento, le modalita' di azione" della suocera, "non si connota - concludono gli alti giudici - in termini di offensivita' idonei a giustificare l'attivazione della tutela penale".