La criminologa: uccidiamo i figli per uccidere noi stessi
Di Cinzia Mammoliti
E si torna a parlare di raptus, statisticamente frequente in particolare nella stagione estiva, quando le temperature si innalzano e si diventa fisiologicamente più insofferenti e intolleranti alle frustrazioni. E, soprattutto, quando, almeno apparentemente, un movente non c'è e la follia di un momento fornisce risposte che altrimenti sarebbe impossibile trovare.
A Collemarino, una frazione di Ancona, un giovane padre perde momentaneamente il senno e massacra la figlia di 18 mesi a coltellate. Un gesto folle e inaspettato da chi descrive Luca Giustini, ferroviere, persona "assolutamente normale e legata alle figlie" (l'altra, di 4 anni e mezzo, pare si trovasse al momento del delitto fuori casa con la madre).
Ma come spesso accade, nei fatti di cronaca nera, l'apparenza inganna e se anche mancano elementi sufficienti per potersi pronunciare sulla criminodinamica dell' accaduto ci risulta difficile pensare alla normalità quando si parla di infanticidii. La memoria torna inevitabilmente al caso Franzoni e alle centinaia di domande che ognuno di noi si é posto in cuor proprio in questi anni.
Come può un genitore massacrare il proprio figlio? Che cosa scatta nella mente di un uomo o di una donna quando si avvicinano con un fendente al corpo di una creatura inerme per sopprimerla? Come si può uccidere una parte di sé?
Eppure si tratta di uno dei delitti più diffusi, che, come la maggior parte, ha luogo sotto le mura domestiche e che, a mio parere, rappresenta spesso il parossismo di un'esistenza disperata. Forse all'apparenza normale, come testimonia chi si limita ad osservare da fuori, ma profondamente frustrante, infelice, insoddisfacente. Una vita di rabbia repressa, aspettative disattese, rimpianti e rancori irrisolubili.
Così me la voglio immaginare l'esistenza di persone che arrivano a tanto e che a un certo punto della loro vita esplodono. Perchè troppo hanno tenuto dentro, perchè non hanno saputo chiedere aiuto o non sono state ascoltate, perchè forse hanno superato i propri limiti senza essersene accorte.
E allora sopprimono i figli: quella parte di sé che vorrebbero cancellare per sempre.