Bruciati vivi: come si fa a non impazzire nel manicomio scuola?
ll blog “Bruciati vivi” (www.bruciativivi.it) sta pubblicando a puntate, quasi giornalmente, e da qualche mese ormai, un noir che parla di burnout nella scuola
ll blog “Bruciati vivi” (www.bruciativivi.it) sta pubblicando a puntate, quasi giornalmente, e da qualche mese ormai, un noir che parla di burnout nella scuola e stress lavorativo dell’insegnante. Un vero e proprio giallo - o forse una commedia nera, se proprio si fosse costretti a classificarlo - che durerà sino al prossimo luglio. Un diario particolare con cronache di vita intima, delusioni e qualche frammento di famiglia.
Intanto già lo scorso 9 dicembre la vicepreside, cadavere, viene trovata nel ripostiglio delle scope. Assassinata. E prima qualcun altro aveva avuto incidenti poco chiari. Per non parlare di somme inaspettate di denaro cadute da un portaombrelli e a cui per obblighi e morale si è dovuto rinunciare.
“Bruciati vivi” richiama la letterale traduzione del burnout. Bruciati da un mestiere scelto al principio con entusiasmo e che si credeva differente. La protagonista del romanzo online, Luisa Marinai, attraversa, sul lavoro, tutte le fasi del burnout.
In più ha una famiglia assente e per la quale è invisibile (un figlio lontano, il marito, titolare di una ferramenta, schiacciato da una complicata quanto grottesca faccenda di trapani difettosi), poche amicizie, nessuno stimolo se non quelli di guardare polizieschi in televisione, programmi di cucina e registrare le continue lamentele di anziani genitori. Pochissimi soldi e un gioco ossessivo che ha inventato per una sua personale lista dei desideri: che cosa si vorrebbe per essere felici a scuola?
Nel libro-blog non si parla di scuola nella maniera convenzionale. Niente banchi, aneddoti, siparietti. Niente speranze né riscatti. Una scuola vista dalla cattedra, con l’occhio del lavoratore: ma senza parole come missione, passione, dedizione. Il lavoro è ripetitivo, usurante, sottopagato, con poche gratificazioni. Gli insegnanti demotivati e affaticati. La carriera inesistente. Famiglie e opinione pubblica incattiviti. Lo Stato sordo, come se quelli non fossero lavoratori sul serio.
Sullo sfondo, incomprensibili meccanismi del sistema scolastico, graduatorie, assegnazioni di posti e cattedre, supplenze, incentivazione ridicola del merito. Una sorta di assurda, pachidermica, ridondante, grottesca scenografia, in certi tratti comune a altri settori della pubblica amministrazione. Come dire: come si fa a non impazzire in questo manicomio. È il manicomio a rendere folli.
Autrice del progetto è Clemence Sodré, con scarse note biografiche che la riguardano. Si intuisce che il nome possa essere uno pseudonimo.
Insegna? Scrive? Pare abbia a che fare con palcoscenici e che odi il vino bianco non ghiacciato. Oltre a avere problemi con le manifestazioni del potere. Altro non si sa. Di certo non è lei Luisa Marinai, o non lo è fino in fondo, perché la vera protagonista che ha ispirato il racconto pare l’autrice l’abbia conosciuta una vita fa: già allora non più giovane, insegnava scienze e viveva con i genitori anziani. Pendolare da sempre, guidava un’auto da buttare. Della casa aveva l’odore, stantio, come di naftalina. Era triste e infuriata insieme e si lasciava andare con le parole, le confidenze, le speranze.
Vale la pena dare un’occhiata al lavoro, sul blog o anche sulla sua pagina Facebook, dove il noir viene aggiornato regolarmente accompagnato da micro commenti dell’autrice.
In un periodo in cui la scuola subisce grandi cambiamenti, non del tutto condivisi, in cui si interroga sul senso del servizio e del riconoscimento presso l’opinione pubblica, può essere utile seguirne la vita dalla parte della cattedra.
E poi il romanzo, disincantato, è scritto con un linguaggio crudo, veloce, senza veli, spesso aggressivo, a volte ironico. Un’esperienza che potrebbe rivelarsi illuminante, e certamente amara.
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