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Cronache
Ricordo Falcone, Fava: "Non sarò all'aula bunker per sentire Salvini"

Il presidente della Regione Nello Musumeci e quello dell’Antimafia Claudio Fava disertano l’aula bunker.

Capaci, 27 anni dopo ancora misteri: inchieste aperte e silenzi

"Domani non andrò a ricordare Giovanni Falcone nell'aula bunker di Palermo. Preferisco andare a Capaci, nel luogo in cui tutto accadde, preferisco stare assieme a chi non ama le messe cantate sui morti. Hanno trasformato il ricordo del giudice Falcone nel festino di Santa Rosalia. Al posto dei vescovi e dei turibolanti che spargono incenso, domani ci saranno i ministri romani, gli unici che avranno titolo per parlare (con la loro brava diretta televisiva) e per spiegarci come si combatte cosa nostra. Cioè verranno loro, da Roma, per spiegarlo a noi siciliani, a chi da mezzo secolo si scortica l'anima e si piaga le ginocchia nel tentativo di liberarsi dalle mafie". Lo scrive su Facebook il presidente della Commissione regionale Antimafia, Claudio Fava, che aggiunge: "La scaletta degli interventi è stata elaborata dai collaboratori del ministro dell'Istruzione, che finanzia il festino, dunque viene e parla assieme ai suoi colleghi di governo: gli altri in sala ad applaudire, come si fa a scuola col direttore. Una cerimonia patriottica grottesca. Il mio problema non è che invitino Salvini. Il mio problema è che chiedano a lui di dire e a noi di ascoltare. Fossi io la sorella di Giovanni Falcone avrei chiesto a Salvini di venire e di tacere. Di ascoltare e di prendere appunti. Di avere l'umiltà, per un giorno, un solo giorno, di capire che nella vita ci sono cose più grandi delle campagne elettorali e delle dirette televisive".     Insomma, conclude Fava: "Se fossi io la Fondazione Falcone avrei invitato i signori ministri nell'aula bunker di Palermo per ascoltare il procuratore generale di Palermo, il direttore del centro Impastato, il presidente della Fondazione La Torre, il procuratore della repubblica di Agrigento (quello che Salvini vuole denunziare), il sindaco di Palermo, il portavoce della cooperativa Placido Rizzotto che si occupa da 20 anni dei beni confiscati ai corleonesi, un paio di giornalisti che di mafia ne scrivono ogni giorno da un quarto di secolo, il presidente di Libera, quello di Addio Pizzo e magari anche il sottoscritto, per spiegare alle autorità romane quello che abbiamo imparato sulle antimafie di latta, sugli amici innominabili del cavaliere Montante a Roma e altrove, sul codazzo di senatori, nani, false vittime e ballerine che agitano la scena siciliana da molto tempo. Ma così non sarà. Verrà Salvini, e parlerà. Gli altri, muti. Pazienza. Io domani vado a Capaci".

Mafia: stragi e silenzi, 27 anni dopo ancora misteri e processi

Un tempo breve e tragico, oscuro e colmo di tensione, con un'onda lunghissima di silenzi e misteri che ancora non si e' arrestata. Cinquantasette giorni separano la strage di Capaci da quella di via D'Amelio. Ventisette anni i due eccidi da una verita' piena la cui ricerca e' ancora oggetto di processi e nuove indagini. Un attentato contro Giovanni Falcone era temuto, quello contro Borsellino apparve dolorosamente annunciato: entrambi si consumarono in un contesto di incapacita' e complicita'. La sentenza del processo Stato-mafia, del 20 aprile dell'anno scorso, con l'appello iniziato quasi un mese fa, ha aperto scenari inediti. La trattativa, dice quel verdetto, c'e' stata: pezzi di istituzioni e i vertici di Cosa nostra avrebbero negoziato mutue concessioni, condizionato scelte e uomini, e accelerato l'epilogo tragico del 19 luglio.

"MA AVEVANO GIA' INIZIATO A FARLI MORIRE"

Il 23 maggio del 1992, Giovanni Falcone, direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia, era appena atterrato all'aeroporto di Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Alle 17.58, sull'autostrada Trapani-Palermo, nei pressi di Capaci, la tremenda esplosione che li uccise con gli uomini della scorta. Circa 500 chili di tritolo piazzati dentro un canale di scolo esplosero mentre transitavano le Croma. La prima auto blindata - con a bordo i poliziotti Antonino Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo - venne scaraventata oltre la carreggiata opposta di marcia, su un pianoro coperto di ulivi. La seconda Croma, guidata dallo stesso Falcone, si schianto' contro il muro di detriti della profonda voragine aperta dallo scoppio. L'esplosione divoro' un centinaio di metri di autostrada. Poco piu' di un mese dopo, il 25 giugno, Paolo Borsellino denuncio' la costante opposizione al lavoro e al metodo di Falcone di parti consistenti delle istituzioni: "Secondo Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone comincio' a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione. Oggi che tutti ci rendiamo conto di qual e' stata la statura di quest'uomo, ci accorgiamo come in effetti il Paese, lo Stato, la magistratura che forse ha piu' colpe di ogni altro, comincio' a farlo morire il primo gennaio del 1988, quando il Csm con motivazioni risibili gli preferi' il consigliere Meli". A un certo punto, racconto' Borsellino, "fummo noi stessi a convincere Falcone, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Cerco' di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato le esperienze del pool antimafia. Era la superprocura". La mafia "ha preparato e attuato l'attentato del 23 maggio nel momento in cui Giovanni Falcone era a un passo dal diventare direttore nazionale antimafia". 

I 57 giorni continuarono a scorrere inesorabili. Fino a una domenica d'estate del 19 luglio 1992.

AL CUORE DELLO STATO

Paolo Borsellino, 51 anni, da 28 in magistratura, procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano dopo aver diretto la procura di Marsala, pranzo' a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. Poi si reco' con la sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano la madre e la sorella. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa cento chili di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo anche i cinque agenti. Erano le 16.58. L'esplosione, nel cuore di Palermo, venne avvertita in gran parte della citta'. L'autobomba uccise Emanuela Loi, 24 anni, la prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetta alle scorte; Agostino Catalano, 42 anni; Vincenzo Li Muli, 22 anni; Walter Eddie Cosina, 31 anni, e Claudio Traina, 27 anni. Unico superstite l'agente Antonino Vullo.

TRATTATIVE E INCHIESTE INFINITE

Dopo 27 anni restano tanti misteri. La sentenza di primo grado del processo Stato-mafia, che ha condannato boss, ex alti ufficiali del Ros come Mario Mori e politici come Marcello Dell'Utri, a giudizio di molti ha dato linfa e impulso a nuove inchieste a Caltanissetta sulle stragi. Tre poliziotti sono a processo con l'accusa di essere i tasselli di una complessa strategia di depistaggio delle indagini sull'eccidio di via D'Amelio. Su quello di Capaci sempre la procura nissena ha indagato recentemente due boss della mafia catanese che avrebbero fornito una parte dell'esplosivo: il pentito Maurizio Avola - i cui verbali sono stati depositati nel processo bis d'appello - e il suo capo di allora, Marcello D'Agata. Tra le piste seguite una ricondurrebbe a un esperto di esplosivi inviato dalla mafia americana per addestrare gli stragisti. Si tratta cosi' di capire anche quale ruolo abbia avuto nella stagione stragista Cosa nostra americana. Dal marzo 2017 Matteo Messina Denaro da latitante e' a giudizio a Caltanissetta per le stragi del '92. E' accusato di esserne uno dei mandanti. Durante l'udienza preliminare, il pm Gabriele Paci ha sostenuto che Messina Denaro prese parte a una riunione della commissione di Cosa nostra alla fine del '91 nella sua Castelvetrano, in cui Riina diede il via alla strategia stragista. Il capomafia, inoltre, avrebbe inviato a Roma, su ordine di Riina, diversi killer per uccidere Falcone nei primi mesi del '92, ma la missione falli'. All'apertura del procedimento, Paci aveva chiesto di interrogare l'imputato Messina Denaro... aggiungendo che era "un auspicio". La battaglia per la verita' e la giustizia non si ferma.

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