Coronavirus, la bomba epidemica nelle carceri è un fatto concreto - Affaritaliani.it

Cronache

Coronavirus, la bomba epidemica nelle carceri è un fatto concreto

di Vanessa Seffer

Nessuno si assume la responsabilità di dire “non sono in grado” oppure “non ce la facciamo”, nessuno manifesterà mai i propri umani limiti. Pur di nascondere le proprie incapacità si rischia la vita delle persone. Questo quanto accaduto in alcune RSA del Paese, dal più grosso polo geriatrico d'Europa alla provincia di Palermo alla stessa Civitavecchia. Questo può accadere anche nelle carceri italiane dove gli elementi per diventare moltiplicatori di contagio ci sono tutti, a cominciare dal fatto che i 58.810 detenuti di oggi, che fino al 29 febbraio erano 61.230, vivono ammassati fra loro, anche se il tasso di affollamento non è omogeneo su tutto il territorio nazionale. I detenuti sono una parte vulnerabile del Paese, secondo il loro Garante nazionale ci sono 22.734 persone che hanno una pena residua inferiore a tre anni e si potrebbe provvedere di finirla a casa. E qualora una casa dove tornare non ci fosse, che siano i Comuni a provvedere a trovarla, al fine di contrastare la diffusione ulteriore del virus e per il bene della salute pubblica.

Ma l'emergenza sanitaria non riesce a superare le contrapposizioni politiche e non ci sono mezzi adeguati per sopperire all'esigenza. Neanche in questo caso, oltre due mesi dopo l'inizio dell'epidemia, si è saputo provvedere ad una soluzione efficace perchè questa bomba non esploda. Carenza di congegni elettronici e carenza di idee, forse più una mancanza di coraggio di aumentare il numero dei domiciliari.

Chiediamo all'avvocato Fabio Frattini, membro della Giunta della Camera Penale Italiana, cosa ne pensa.

Nei penitenziari il virus potrebbe avere un suo sviluppo e una sua ascesa. Abbiamo 21 contagiati fra i detenuti e una vittima e 116 positivi nella Polizia penitenziaria con due vittime. Cosa potrebbe accadere se il Covid19 diventasse un'emergenza incontrollata?

È un’eventualità alla quale non vorrei neppure lontanamente pensare. Ci sarebbe infatti una vera e propria catastrofe non solo all’interno degli istituti penitenziari ma, inesorabilmente, anche all’esterno. Pensi agli sforzi che sono stati fatti nelle ultime settimane per cercare di realizzare nel minore tempo possibile il maggior numero di posti di terapia intensiva; pensi ad esempio a tutto ciò che si è fatto per realizzare un nuovo ospedale alla Fiera di Milano. Ebbene, se dovesse scoppiare l’epidemia all’interno di uno dei tre carceri presenti a Milano (Bollate, Opera e San Vittore) quei 200 posti appena realizzati potrebbero dover essere occupati in men che si possa pensare dalla popolazione carceraria andando quindi a incidere inesorabilmente sulla sorte della nostra popolazione.

 

Ventidue carceri in rivolta a metà marzo a causa della sospensione dei colloqui con i familiari per evitare forme di contagio con il Covid-19. Risultato: 19 detenuti evasi e ancora non rintracciati, fra cui persone vicine alla mafia pugliese e un condannato per omicidio, 12 vittime, 9 persone prese in ostaggio, 5 agenti di polizia penitenziaria e 4 operatori sanitari. I disordini sono continuati per un po’ e si sta prevedendo lo sfollamento di diversi Istituti di pena. Lo Stato si sta arrendendo?

Fatta una doverosa premessa con la quale non si può che biasimare ogni forma di violenza, mi lasci aggiungere che lo Stato non si è arreso quando sono scoppiati i disordini, che peraltro sono durati soltanto poche ore. Lo Stato mostra tutta la sua debolezza ogniqualvolta decide di non garantire quel minimo di rispetto delle regole cui, ormai, anche a livello internazionale viene spesso richiamato. Ammassare circa 62.000 detenuti in istituti penitenziari che ne possono accogliere al massimo 50.000 è indice di uno Stato debole, incivile, che non rispetta le regole.

 

C'è una regìa occulta dietro queste rivolte? Non è strano che nello stesso giorno, intorno alla stessa ora, in 22 carceri si scateni una rivolta?

Non penso ci sia stata alcuna regia occulta dietro queste rivolte ma piuttosto la paura e l’esasperazione che ha contestualmente riguardato tutta la popolazione carceraria. Impedire ai detenuti di incontrare i propri familiari; comunicare urbi et orbi che è scoppiata una pandemia e imporre a tutti i cittadini il famoso “distanziamento sociale” avrebbe fatto innervosire anche un pacifista gandhiano.

 

Riemerge il problema del sovraffollamento. Si pensa ad arresti domiciliari per quei detenuti che hanno un residuo di pena o all'evacuamento come a San Vittore, che non è chiaro se significhi rilascio o spostamento dei detenuti quindi in altre carceri?

Come le ho già detto il sovraffollamento carcerario è una vergogna nazionale per la quale l’Italia è già stata richiamata/condannata a livello internazionale. Altra peculiarità del nostro paese (in)civile sta nel fatto che larga parte dei detenuti (intorno a un terzo dell’intera popolazione carceraria) è in attesa di giudizio con buona pace di tutte le “regole” che indicherebbero il carcere come extrema ratio. L’uso indiscriminato della custodia cautelare in carcere è una delle maggiori cause del sovraffollamento carcerario. Mi piace sottolineare che, proprio negli ultimi giorni, il Procuratore Generale Salvi, ha sollecitato i magistrati requirenti a contenere al massimo le richieste di misure custodiali in carcere.

 

Non si possono proporre delle alternative, per esempio utilizzare Skype per parlare con i propri congiunti, allungare il tempo delle telefonate ogni settimana? Con quale criterio si può pensare di far uscire prima del tempo o mandare agli arresti domiciliari un certo numero di detenuti?

Le alternative cui lei fa riferimento sono state poste in essere subito e se le proteste all’interno degli istituti penitenziari sono rientrate è proprio grazie a queste soluzioni adottate.

Per quanto riguarda gli arresti domiciliari dipende dalla sensibilità dei singoli magistrati giudicanti nelle cui mani si trova la vita dei detenuti in attesa di giudizio o di una sentenza definitiva.

 

Perchè in città come NY c'è un carcere di 18 mila posti, a Miami ce n'è uno da 7.500 e in Italia, dove abbiamo avuto terrorismo, mafie con nomi diversi in base alla regione di provenienza oltre a quelle che abbiamo importato da Paesi africani e dal mondo orientale, non si è pensato per tempo di provvedere ad Istituti di pena con oltre 1200 posti, quanti sono alcuni dei nostri, dove tra l'altro i detenuti potrebbero vivere in condizioni più civili, in spazi più adeguati e circostanze meno pericolose?

Perché i nostri politici, sebbene a volte si dichiarino pronti a realizzare nuove carceri, sanno bene che i costi di realizzazione e di gestione di nuovi istituti penitenziari sono pressoché insostenibili.

 

Il contagio in un carcere potrebbe portare ad una situazione a dir poco catastrofica. Come si può coniugare il diritto alla salute con tutti gli altri diritti fondamentali?

L’unica strada percorribile sarebbe un grande, coraggioso, trasversale atto politico attraverso il quale ridurre drasticamente il numero dei detenuti, ma dubito fortemente che l’attuale classe politica, così fortemente intrisa di un bieco giustizialismo carcerocentrico, troverà mai la forza e il coraggio di intervenire per evitare che la bomba epidemiologica che è stata innescata possa essere disinnescata.