IL DIBATTITO/ La fede è un fatto privato, la libertà è pubblica. Di Paola Serristori
di Paola Serristori
A Parigi i chioschi sono "presi d'assalto" dai francesi che dalle prime ore del mattino stanno comprando il settimanale satirico Charlie Hebdo, subito esaurito. Io vorrei rispondere ad Elisa Merlo. Ed a chi la pensa come lei, nulla di personale, sia chiaro. E' possibile? Non rispondo a titolo personale, giacché ognuno è libero di pensare e dire ciò che vuole ed io sono nessuno per dare risposte. Tuttavia posso riferire le parole del primo ministro francese Manuel Valls, pronunciate ieri davanti all'Assemblée Nationale, il Parlamento della Francia. "La "liberté" è un grande valore, ma non lo è anche la "fraternité"? Se tu non credi in Dio perché devi schernire volgarmente sguaiatamente il Dio in cui credo io?", si chiede Elisa Merlo.
Se non ha scritto tanto per scrivere, se queste righe che leggo in conclusione del suo intervento in editoriale corrispondono a reali domande che si pone, che ci pone, la soluzione all'interrogativo, anche esistenziale se vogliamo, è lapalissiana: la fede religiosa è un fatto privato, la libertà è pubblica. La "fraternité" è il riconoscimento, da parte dello Stato, della libertà di ognuno nel vivere sociale, nell'unità della Repubblica francese. Qui riassumo con mie parole il senso del discorso, poiché tradurre non è solo usare bene i vocaboli, ma interpretare la cultura che esprimono. Qui, invece, Valls testualmente: "La Francia è l'espressione della ragione, la conquista dell'uguaglianza, il melange di dignità, insolenza, eleganza".
In risposta al terrorismo ha detto, da subito, nei giorni degli attacchi, che ci sarà un prima ed un dopo, "avant et après". Con mia enorme sorpresa ho compreso ieri il significato che nella "cultura" francese significa: si stanno verificando gli strumenti legislativi per sorvegliare con un regime simile a quello italiano della libertà vigilata coloro che hanno avuto condanne per terrorismo radicale, ma altresì si vuole favorire lo studio delle religioni "dans l'école", a scuola. Perché la religione non ha nulla a che vedere con la violenza. E' l'interpretazione che gli uomini danno al modo di vivere la fede nella società a provocare la seconda. Ancora Valls: "Io ho amici di confessione e professione musulmani. Uno di loro mi ha detto di essersi vergognato che un musulmano avesse tutte quelle armi. Io non voglio che ebrei abbiano paura, che musulmani si vergognino. La Repubblica è fraterna e generosa nell'accogliere ognuno".
Charlie Hebdo non insegna la fede, fa satira. Se vogliamo, è un mezzo di cultura, poiché cultura significa anche riflettere e sapere sorridere dell'interpretazione che gli uomini danno alle effimere cose terrene. Gli umoristi hanno ricordato, ancora ieri, che non c'è stato un numero del settimanale in cui non comparissero riferimenti anche al Papa. Sulla copertina del numero uscito il giorno stesso della strage figurava, oltre alla caricatura dell'autore del romanzo sulla fanta-elezione di un presidente della Repubblica francese musulmano, "La véritable histoire du petit Jesus", di cui non serve un sottotitolo.
Quanto al termine "merde", che Merlo associa alla satira di Charlie Hebdo, i francesi hanno usato l'espressione colorita "L'emmerdeuse" per la copertina dedicata a Ségolène Royal, ministro dell'Ambiente, nata in Senegal, madre dei quattro figli del presidente della Francia. Prima s'interpreta la cultura, poi si dà un senso alle parole. Non il contrario, perché, a volte, i fraintendimenti uccidono. Su Charlie Hebdo giova ricordare che aveva raffigurato il capo dello Stato, quello attuale, con la zip dei pantaloni aperta, e la vignetta "Moi, le prèsident" non sopra la sua testa, ma all'altezza di quella che in Italia si definisce "testa di c... " , pure disegnata. Eppure il presidente François Hollande ha dedicato il più lungo abbraccio, quasi due minuti, al termine della marcia repubblicana di domenica, proprio ad uno degli umoristi sopravvissuti.
Ci sono stati dodici morti in una redazione che lottava anche contro il terreno problema della mancanza di fondi per pagare gli stipendi, altri cinque morti nell'ipermercato kosher, e tre morti tra i terroristi. Forse può bastare, non siete d'accordo? Semmai bisognerebbe stupirsi dell'ingerenza della religione sulla vita di uno Stato, e non del contrario. Come se non bastasse, un umorista francese di origine camerunense, al termine della stessa marcia di unità nazionale ha scritto sulla propria pagina sociale di avervi partecipato, che era magnifica come il big bang primordiale, ma che tornato a casa si sentiva, "voi lo sapete", Charlie + il cognome dell'assassino degli ostaggi ebrei.
"La Francia è uno Stato laico", ha ripetuto più volte il primo ministro Valls. "La blasfemia non è nel nostro diritto. C'è una differenza fondamentale tra la libertà di espressione. Vogliamo proteggere i compatrioti musulmani (applausi dall'Aula) che sono preoccupati da atti contro concittadini musulmani verificatisi in questi giorni. L'Islam è la seconda religione di Francia. Vogliamo garantire sul suolo nazionale la libertà di tutte le religioni che accettano i principi della Repubblica". Oggi, in una Parigi militarizzata dove ci si imbatte in controlli col metal detector e per entrare con l'auto nel parking di un centro commerciale al conduttore vengono richieste le generalità, il comico è stato arrestato per apologia del terrorismo. Può bastare per lasciare che la fede torni ad essere un fatto privato?