Garlasco, l’ex capo del Ris accusa: “La perizia sul DNA scritta per accontentare qualcuno”. Nuovi dubbi sulla condanna di Stasi - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 10:26

Garlasco, l’ex capo del Ris accusa: “La perizia sul DNA scritta per accontentare qualcuno”. Nuovi dubbi sulla condanna di Stasi

L’ex comandante del Ris, Giampietro Lago, critica duramente la perizia sul DNA che portò alla condanna di Stasi

La puntata di Quarta Repubblica riaccende il caso Garlasco con un’accusa pesantissima che scuote uno dei punti cardine della condanna di Alberto Stasi. A parlare è Giampietro Lago, per quindici anni comandante del Ris di Parma, uomo chiave della scena forense italiana, intervistato da Ludovica Bulian.

Lago non usa giri di parole parlando della perizia redatta nel 2014 dal genetista Francesco De Stefano, allora consulente del Tribunale nel processo d’Appello bis che avrebbe portato Stasi alla condanna definitiva. Secondo l’ex capo del Ris, molte delle incertezze odierne deriverebbero proprio da quella metodologia.

Un nodo che ritorna grazie alla recente relazione della dottoressa Denise Albani, la cui analisi ha individuato una compatibilità con la linea paterna di Andrea Sempio. Per Lago, le critiche dell’attuale perita sono pienamente condivisibili: «Quelle scelte non le avrei mai approvate», rivela, raccontando di aver addirittura inviato una mail ufficiale per chiedere l’utilizzo di tecniche più avanzate, già disponibili all’epoca in alcuni laboratori italiani.

Ma il passaggio più deflagrante arriva quando si affronta il tema dell’espressione usata da De Stefano nel 2014: «Non posso escludere che il DNA sia di Stasi».

Per Lago è una frase che non avrebbe mai dovuto essere scritta:
«Se affermi che quei risultati non sono sufficienti ai fini identificativi, non puoi includere né escludere nessuno. Quei risultati, semplicemente, non esistono».

Quando la giornalista definisce quella posizione “quasi un’opinione”, Lago rilancia una stoccata che pesa come un macigno:
«È un perito che scrive queste cose nelle conclusioni. Non un opinionista. Una frase così genera equivoci. Sembra scritta per accondiscendere qualcuno».
E alla domanda se questo getti un sospetto pesante sul lavoro svolto, l’ex comandante non nega: «Sì, un po’ sì».

Parole che fanno tremare uno dei pilastri processuali del caso. Perché se quella frase – oggi messa in dubbio da chi ha guidato il Ris per anni – contribuì a orientare il giudizio in un clima mediatico fortemente colpevolista, l’interrogativo diventa inevitabile: cosa sarebbe successo se nel 2014 fosse stato escluso apertamente il DNA di Stasi?

L’ipotesi avanza come un’ombra: due assoluzioni precedenti, il parere contrario del Procuratore Generale e l’assenza di tracce genetiche compatibili avrebbero messo la Cassazione in condizioni molto diverse.

Oggi, mentre cresce il numero delle persone che guardano con sospetto a sentenze considerate “granitiche”, l’intervento di Lago alimenta un dubbio sempre più diffuso:
Alberto Stasi è stato condannato sulla base di conclusioni forensi che non avrebbero dovuto reggere?

Una domanda inquietante che riapre crepe mai del tutto chiuse nel caso Garlasco.