Delitto di Garlasco, una sentenza che non stupisce

La decisione della Cassazione sul delitto di Garlasco non mi stupisce. Anzi, potrà rivelarsi condivisibile. Leggendo i giornali, infatti, mi pare che i due gradi di giudizio di merito che si sono celebrati prima della decisione dei supremi giudici non abbiano del tutto sciolto quelle zone d’ombra che possono avere ragionevolmente indotto i magistrati della Cassazione a non pronunciare il fischio finale a questa durissima partita giudiziaria. Senza dimenticare che una ragazza è morta e altri sospettati non ce ne sono. (anche se la difesa sostiene che dovrebbero esserci).
Tre sono i punti ancora controversi e, in definitiva, irrisolti:
1) la mancata indagine circa l’appartenenza del capello castano chiaro trovato nelle mani della vittima;
2) l’approssimazione degli accertamenti, tecnici e testimoniali, per identificare la bicicletta nera vista da una persona fuori dalla casa dei Poggi la mattina del delitto;
3) gli interrogativi sulla mancata presenza di tracce ematiche sulle suole delle scarpe di Stasi. Ciò nonostante lo stesso, per sua ammissione, abbia camminato sulla scena del delitto “a sangue fresco”. Dovremo leggere le motivazioni della sentenza, che verranno depositate tra 60 giorni, per capire il ragionamento seguito dalla Cassazione. Perché, mi pare evidente, una cosa sarà leggere che certi nodi probatori, ancora opachi, andranno scrutati più a fondo; un’altra affermare che gli elementi già acquisiti al patrimonio processuale dovranno essere valutati dai nuovi giudici in modo diverso rispetto a come sinora è stato fatto nelle due sentenze di assoluzione precedenti alla decisione della Cassazione.
Credo che, in presenza di un terribile omicidio, non sia da stigmatizzare una sentenza se, prima di mettere definitivamente fine a una drammatica vicenda, con tutte le dolorose appendici umane che inevitabilmente porta con sé per tutti i protagonisti, decida di fare chiarezza fino in fondo. Ciò anche per evitare di dare adito, in futuro, a speculazioni sull’effettivo impegno della magistratura a catturare uno spietato assassino. Nel contempo, una decisione così, nonostante oggi Stasi sia sicuramente affranto (come non capirlo?), potrebbe rivelarsi per lui ancor più favorevole. Se, infatti, uscisse assolto dopo un processo infinito, nessuno, neanche i Poggi, avrebbe diritto di pensare a lui come un omicida. Se, invece, come ha chiesto il procuratore generale nella sua requisitoria, gli ermellini scriveranno che nei primi due gradi di giudizio si è dato troppo spazio alla tecnica e troppo poco alla logica, saranno (purtroppo) molto dure le nuove tappe della maratona giudiziaria di Alberto. Una decisione così, tuttavia, mi farebbe rabbrividire, perché sdoganerebbe un sistema di accertamento della responsabilità penale di natura presuntiva che non può essere culturalmente accettato in un sistema giudiziario di un paese democratico.
di Guido Camera