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Cronache
Modelli aziendali privati nella Pa? Dadone stia attenta alla "Fase tre"

Di Santo Fabiano 

Probabilmente sono passate inosservate le recenti dichiarazioni del Ministro della Funzione Pubblica, rilasciate nel corso di un’intervista a Rai news 24, nella quale, in qualche modo, ha già prefigurato la “fase 3”. E da qui si comprendono le ragioni della apparente timidezza della cosiddetta “fase 2”.

Certamente ci sono tutte le ragioni che giustificano l’adozione di cautele personali e collettive. E sarebbe stupido ignorare il pericolo reale rappresentato dal rischio del contagio, i cui effetti sono determinati dal numero impressionate di decessi di persone inconsapevoli, colpite fatalmente e senza scampo.

Ma abbiamo la certezza che l’emergenza viene intesa ormai come occasione per una ridefinizione radicale del sistema sociale e amministrativo, per fare passare come necessari alcuni modelli che, in tempo di normalità non sarebbero stati accettati. Può essere considerato normale che le misure dell’emergenza siano dettate dagli “esperti”, anche se ne abbiamo constatato le contraddizioni e le fragilità di alcune affermazioni, ma sarebbe il caso di affermare che la “progettazione di una nuova normalità” non può essere affidata alle dinamiche e ai metodi monocratici dell’emergenza. Il modello sociale, il sistema amministrativo, il mondo produttivo, ecc. non possono essere determinati da logiche emergenziali, soprattutto se queste incidono in modo significativo nel profondo dei valori che sono messi in gioco.

Nella sua intervista il ministro (o ministra) della Pubblica Amministrazione afferma, per averlo letto in una ricerca del Politecnico di Milano e dell’Università Bocconi, che il sistema di “smart working” è una modalità che assicura la maggiore produttività. Conseguentemente, afferma di volerlo estendere alle pubbliche amministrazioni, anche dopo l’emergenza, così come intende esportare nel sistema pubblico quei modelli ritenuti efficaci nel sistema privato, per garantire maggiore efficienza. E tutto ciò avverrà con provvedimenti che, essendo adottati in periodo emergenziale, non passeranno per il Parlamento. Sarà dunque questa la fase 3 per le pubbliche amministrazioni.

Forse il Ministro non sa che non si tratta di affermazioni originali. Dal 1979 (anno di pubblicazione del Rapporto Giannini) ad oggi, tutti provvedimenti adottati dai suoi predecessori, piuttosto che essere finalizzati alla valorizzazione della funzione pubblica,  sono stati ispirati dal folle proposito di importare nelle pubbliche amministrazioni metodi organizzativi di tipo aziendale, causando danni incalcolabili e portando la pubblica amministrazione alla condizione attuale, in cui è dilagata la burocratizzazione in ogni ambito, si è esteso oltremodo il formalismo dei controllori e si è accresciuto il grado di disaffezione e disinteresse. Per non parlare dei costi economici e sociali determinati dalla pretesa e dai successivi ripensamenti sulla aziendalizzazione dei servizi pubblici.

E’ probabile che chi non conosce le pubbliche amministrazioni non ne comprenda il valore, soprattutto se non ne coglie le importanti funzioni di presidio, garanzia, regolazione, assistenza e prossimità, che non hanno uguali nel sistema “privato” e corrono il rischio di essere banalizzate ogni volta che vengono “misurate”. Basta pensare al danno che ha determinato per il territorio la chiusura degli uffici postali, perché improduttivi o la chiusura degli ospedali per effetto degli algoritmi sulla loro utilità o la chiusura dei tribunali per ragioni di economia spicciola.

Certamente serve una profonda riorganizzazione della pubblica amministrazione per renderla efficace e funzionale. Ma non dimentichiamo che, mentre molti istituti bancari usano ancora la carta, il fax e nascondono la propria PEC, anche il Comune più piccolo ha già il protocollo elettronico, un sito istituzionale e stipula contratti on line.

Da un ministro della pubblica amministrazione che voglia essere al passo coi tempi è lecito attendersi il superamento di antichi pregiudizi e possibilmente la fiducia nel dialogo, nel confronto e nella condivisione. A tal proposito sarebbe opportuno che utilizzi un po’ meno la prima persona, evitando il ricorso frequente a frasi come “io voglio” o “ho deciso” che riportano a tristi evocazioni e hanno davvero poco di aziendale o bocconiano.

 

 

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