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Cronache
Messina Denaro, pizzini e postini a suo servizio: colpo al feudo del boss
L'identikit di Matteo Messina Denaro

Arresti e perquisizioni nel regno di Matteo Messina Denaro. Colpita ancora una volta la rete di protezione e comunicazione del capomafia di Castelvetrano, latitante dal 1993. Perquisita la sua residenza, abitata dalla madre. E' stata battezzata "Ermes Fase III" l'operazione scattata all'alba di oggi della polizia di Stato, che ha dato esecuzione alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Palermo a carico di Giuseppe Calcagno, 46 anni, e Marco Manzo, 55 anni, entrambi di Campobello di Mazara, indagati per associazione di tipo mafioso ed estorsione. Il blitz e' stato condotto dagli uomini della Squadra mobile di Trapani con il supporto degli uomini della questura, dei commissariati della provincia e dei Reparti Prevenzione Crimine della Sicilia e della Calabria, e l'impiego di unita' cinofile e di un elicottero del Reparto Volo di Palermo. In azione 90 poliziotti. Su delega della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano sono stati notificate informazioni di garanzia ed eseguite perquisizioni nei territori di Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano nei confronti di 15 persone a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi, favoreggiamento della latitanza di Messina Denaro, anch'egli indagato per tentata estorsione, in riferimento alle minacce esercitate direttamente per mettere le mani su un terreno in passo appartenuto al padrino corleonese Toto' Riina. Anche l'abitazione di Castelvetrano, dove risulta la residenza anagrafica del latitante, e' stata sottoposta a perquisizione.

L'indagine ha svelato che i 15 indagati, membri o contigui dei mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo e di Castelvetrano, si sono attivati per garantirne gli interessi economici mafiosi, il controllo del territorio e delle attivita' produttive e per aver favorito, in passato, la comunicazione riservata con il superlatitante. E' stata fatta luce sugli interessi e sui rapporti fra gli affiliati del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, retto da Vito Gondola, morto il 13 luglio 2017, e sui rapporti che il capomafia mazarese intratteneva con altri appartenenti alla famiglia mafiosa di Marsala, di Campobello di Mazara e di Castelvetrano. Nel corso di incontri riservati e attraverso lo scambio di pizzini sono state decise estorsioni nella compravendita di fondi agricoli e nell'esecuzione di lavori pubblici. L'indagine ha dimostrato anche l'intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e l'intervento dell'organizzazione per risolvere controversie economiche fra soggetti vicini alle famiglie. Le decisioni in merito ad alcune estorsioni venivano assunte su indicazione diretta di Matteo Messina Denaro. Il ruolo svolto da Giuseppe Calcagno ha consentito al reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, Vito Gondola, l'esercizio delle sue funzioni di vertice, eseguendone puntualmente gli ordini. Calcagno ha costituito un punto di riferimento nel segreto circuito di comunicazioni finalizzate alla veicolazione dei pizzini del latitante. E' intervenuto nella risoluzione dei conflitti interni alla cosca mafiosa, ha partecipato a incontri e riunioni riservate, anche finalizzati allo scambio di informazioni, e ha mantenuto contatti con altri esponenti di vertice. 

Anche il ruolo di Marco Manzo e' servito a favorire l'esercizio della posizione di comando da parte di Gondola; ha partecipato a riunioni e incontri con altri membri dell'organizzazione e ha favorito lo scambio di informazioni, anche operative, con membri e vertici delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e di altre province. E' anche intervenuto per risolvere i conflitti interni e si e' imposto nel territorio quale imprenditore del settore di carburanti in posizione dominante in forza dalla sua appartenenza a Cosa nostra. Marco Manzo e' indagato, in concorso, anche per aver costretto un dipendente di una societa' per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a rassegnare le proprie dimissioni, rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati e alle altre spettanze economiche. Era stato condannato per aver favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e successivamente per danneggiamento aggravato ai danni dell'abitazione di un politico di Castelvetrano. Un controllo ferreo del territorio e delle attivita' economico-imprenditoriali che passava attraverso minacce e azioni violente, per la realizzazione delle quali era fondamentale un costante scambio di informazioni fra i vertici delle varie famiglie della provincia. Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere a un membro dell'associazione un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per se'. Le indagini hanno fatto luce anche su i contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e su gli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione. L'intervento di Cosa nostra era essenziale anche per risolvere dissidi per l'utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano. Attraverso le attivita' tecniche di intercettazione e' stato svelato il tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso campobellese Alfonso Passanante, affinche' cedessero la proprieta' di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara di Castelvetrano, appartenuto al boss deceduto Toto' Riina. Le minacce dalla cosca mafiosa di Campobello, rappresentata dal boss mafioso Vincenzo La Cascia, furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013. Nessuna tregua al padrino di Castelvetrano.

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