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Cronache
Moranino, Mancino, Salvini: quando la giustizia si piega alla ragion di Stato

I giovani senatori del M5S e anche quelli del PD, quasi certamente, ignorano chi fosse Francesco Moranino (1920-1971). Fu un capo partigiano piemontese, condannato all'ergastolo, per l'uccisione di cinque partigiani bianchi-che riteneva, falsamente, delle spie fasciste- e di due delle loro mogli.  Moranino venne aiutato, dopo la Liberazione, dal Pci  di Palmiro Togliatti (1893-1964) a espatriare. Riparò a Praga, che era la capitale  di un Paese nemico dell'Italia, nell'Europa degli anni Cinquanta e Sessanta.

Dalla Cecoslovacchia, l'ex partigiano- che veniva chiamato, durante la guerra. "comandante Gemisto"- ottenne, grazie al contributo dei dirigenti del "partitone rosso", due risultati clamorosi. Prima, nel 1958, il Capo dello Stato, Giovanni Gronchi (1887-1978), DC, commutò la sua pena: dal carcere a vita a 10 anni.

Poi, nel 1965, il suo successore, Giuseppe Saragat (1898-1988), PSDI, gli concesse la grazia.  Il Presidente della Repubblica, piemontese come Moranino, cancellò, con un colpo di spugna, la pena.

Saragat non si preoccupò affatto  che la grazia potesse sconfessare il verdetto della magistratura e suonare come un quarto grado di giudizio. E-questo aspetto scandalizzerà, forse, i "colpevolisti", le Gruber, i Carofiglio, i Lerner, sulla vicenda "U.Diciotti"-l'inquilino del Colle non si fermò neppure quando il Procuratore generale di Firenze diede un parere negativo alla clemenza.

La grazia fu firmata lo stesso, anche se Moranino era latitante, in fuga, oltre la Cortina di ferro. E, insomma, oggi, quell'atto potrebbe essere interpretato come una resa dello Stato ad una parte.

Per piantare la bandierina della grazia, Saragat scalò una parete di sesto grado. Imputazioni ben più pesanti, quelle ascritte a Moranino, dei presunti reati, appioppati a Salvini dalle tre toghe (di "Magistratura democratica") della sezione di Palermo del tribunale dei ministri.  Ma Saragat non si soffermò sulle conseguenze giuridiche del provvedimento e puntò dritto all'obiettivo della pacificazione.

La politica, con i suoi accordi sotterranei, vinse su tutto il resto, anche sull'indecenza di un atto che, pur se bilanciato da misure di clemenza verso i fascisti della Repubblica sociale di Salò, sconcertò molti italiani. Lo spiegò, con chiarezza, l'ex ambasciatore, Sergio Romano, sul    "Corriere della sera: «Credo che Giuseppe Saragat abbia pagato un debito di riconoscenza al partito, che aveva contribuito ad eleggerlo al Quirinale».

Saragat era diventato Capo dello Stato, il 28 dicembre 1964, con il contributo, determinante, dei Grandi Elettori del Pci. La grazia arrivò a tamburo battente : il 27 aprile 1965. Ci fu, probabilmente, un baratto: l'elezione in cambio della chiusura di quel capitolo orrendo.

Moranino rientrò, con comodo, nel '68, e il Pci non ebbe alcun imbarazzo a ricandidarlo e a farlo rieleggere a  Palazzo Madama. L'Italia usci' così, definitivamente, dal clima avvelenato della guerra civile, ma il prezzo pagato allo Stato di diritto fu altissimo. Molto più elevato, certo, del "niet" della maggioranza dei senatori al processo al ministro Salvini.

In quella vicenda, un ruolo importante lo svolse l'allora autorevole deputato del PCI, Giorgio Napolitano. Lo stesso Re Giorgio-che è l'unico Capo dello Stato, dal 1948 ad oggi, ad aver ottenuto il secondo mandato- 

 non subì, in silenzio, l'offensiva del magistrato de'sinistra, Antonio Ingroia, e delle "toghe rosse" di Palermo sulla vicenda delle telefonate, registrate, tra don Nicola Mancino, ex ministro dc dell'Interno, e il consigliere giuridico del Colle, Loris D'Ambrosio (1947-2012), poi bruciate, su ricorso dell'allora Presidente  della Repubblica, accolto dalla Consulta, che salvaguardò le prerogative del Quirinale.

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Anche alla luce di tali precedenti, il capo politico del M5S, Gigino Di Maio,  avrebbe dovuto pronunciare, a testa alta, con maggiore chiarezza, il no al processo a Salvini, assumendosi le sue responsabilità e non affidandosi alla "piattaforma Rousseau", da molti, grillini e non, concepita e auspicata come la "piattaforma Robespierre".

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