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Cronache
Coronavirus e crisi economica: si rischia il crollo di iscritti all'università

Sono in corso gli esami di maturità. Dopo mesi di lezioni on-line e cambi di programma dettati dall’emergenza Covid 19, i circa 500.000 studenti in Italia si troveranno nei prossimi giorni ad affrontare la scelta dell’iscrizione all’università in una situazione mai vissuta prima nella storia repubblicana. Un momento cruciale per ogni giovane studente che si affaccia sul futuro. In quanti si iscriveranno all’Università? La crisi Covid 19 impatterà sulle decisioni dei giovani e delle loro famiglie per la continuazione degli studi universitari? Alcune considerazioni sugli impatti della crisi passata (2008-2009) e i dati ufficiali sulle immatricolazioni possono aiutarci ad avanzare qualche ipotesi.

Il basso accesso dei giovani italiani rispetto alla media europea alla formazione universitaria

Va in primo luogo sottolineato che l’intero Paese ha accumulato negli anni un forte ritardo rispetto ai partener europei nell’accesso all’educazione terziaria. Secondo dati OCSE, il tasso di immatricolazione (quota dei diciannovenni che si iscrive all’Università) dei ragazzi italiani si attesta al 54,7% rimanendo molto al di sotto di altri Paesi europei come Francia (66,2%), Germania (68,3) e Spagna (73%). Questo determina un basso grado di istruzione terziaria dei 30-34enni che si attesta per il 2018 al 34% in Italia rispetto ad una media Ue del 45,8%. Nel Mezzogiorno è pari al 26,8%, 12 punti in meno che nel Centro-Nord che si attesta al 38,2%, anch’esso al di sotto della media europea.

Il crollo degli iscritti della precedente crisi (2008-2013): le iscrizioni perdute e al Sud ancora non recuperate

La crisi economica 2008-2009 che si è trascinata fino al 2013 ha determinato un impoverimento delle famiglie che, non adeguatamente supportate dalle politiche pubbliche, ha provocato un crollo delle iscrizioni alle Università, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il 2008 e il 2013 il tasso di passaggio Scuola-Università nel Mezzogiorno è crollato di 8,3 punti percentuali, quattro volte la diminuzione del Centro-Nord (1,6 punti). In un quinquennio gli iscritti si sono ridotti di oltre 20 mila unità nelle regioni del Mezzogiorno (Tabella 1). Anche nel Centro-Nord, la crisi aveva determinato un calo del tasso di proseguimento degli studi (- 2 2 punti circa) ma per effetto della crescita dei diplomati non si è determinato una flessione del numero complessivo degli iscritti.


La ripresa degli immatricolati e del tasso di passaggio nel periodo di debole ripresa (2013- 19) ha consentito solo un parziale recupero per il Mezzogiorno, ancora lontano dai valori del 2008, a differenza del Centro-Nord che è ritornato sui valori precrisi. Secondo il dato più recente, 2019, il Mezzogiorno ha ancora 12.000 immatricolati in meno rispetto al 2008 e un tasso di passaggio di oltre 5 punti percentuali più basso. Viceversa, il Centro-Nord ha registrato per l’intero periodo un incremento di 30.000 immatricolati circa e un aumento di oltre un punto percentuale del suo tasso di passaggio.

Tali dati analizzano gli studenti per regione di residenza e non per sede di iscrizione universitaria e dunque quando parliamo di iscritti del Mezzogiorno, consideriamo anche i ragazzi meridionali che si iscrivono nelle Università del Centro-Nord. Il fenomeno dell’emigrazione universitaria nel 2018 ha riguardato circa uno studente meridionale su quattro. Elemento che indebolisce significativamente il sistema Universitario meridionale e comporta un rilevante aumento della spesa delle famiglie. L’università e la crisi Covid: 10.000 iscritti in meno nel 2020/21, due terzi al Sud

Una valutazione dei possibili effetti della crisi COVID sulle iscrizioni all’Università nel prossimo anno accademico, basata su quanto accadde nella precedente crisi, fa scattare l’allarme, soprattutto con riferimento al Mezzogiorno.

Al 2020 si stimano approssimativamente 292.000 maturi al Centro Nord e circa 197.000 al Mezzogiorno. Si è poi provveduto a stimare l’impatto della crisi economica sul tasso di passaggio scuola/università. La precedente crisi ha evidenziato una elevata elasticità di tale tasso all’indebolimento dei redditi delle famiglie soprattutto nel Mezzogiorno. Alla luce di ciò si stima una riduzione del tasso di proseguimento di 3,6 punti nel Mezzogiorno e di 1,5 nel Centro-Nord.

Si ricorda che nel 2009 il Pil su scala nazionale cadde del 5,3% Le stime disponibili convergono sul fatto che nei primi due trimestri del 2020 si dovrebbe registrare una caduta di entità superiore. Stime SVIMEZ segnalano una caduta del Pil su base annua nell’ordine dell’8,4% per l’Italia, del 7,9% per il Mezzogiorno e dell’8,5% per il Centro Nord.

Replicando quindi lo schema che si è manifestato all’indomani della crisi 2008-2009 e nell’ipotesi di un peggioramento dei tassi di passaggio Scuola-Università ai livelli degli anni precedenti, si è stimato che la diminuzione degli immatricolati su scala nazionale ammonti a circa 9.500 studenti di cui circa 6.300 nel Mezzogiorno e 3.200 per il Centro Nord.

La Figura 1 riporta il tasso di passaggio Scuola-Università dal 1991 al 2020 (2019 e 2020 stimati). La serie mostra come a fronte del ritardo che ha caratterizzato gli anni ’90, nei primi anni 2000 il Mezzogiorno è riuscite a eguagliare e a superare nel 2003 il tasso di proseguimento del Centro-Nord, forse grazie alla riforma che in quegli anni introdusse il 3+2 nel sistema universitario italiano. Da allora, è iniziato un lento declino nei tassi di proseguimento esasperato dalla crisi 2008-2009 che ha portato il Mezzogiorno a registrare i tassi di proseguimento Scuola-Università più bassi dell’intera area Euro.

L’impoverimento delle famiglie, a seguito della crisi, si tradurrà, come avvenuto in passato, in una contrazione della spesa destinata agli studi universitari dei figli. E questo è ancor più vero se si pensa che, in linea con i livelli di reddito pro-capite delle famiglie italiane, gli studenti che pagano una retta annuale inferiore sono quelli con una fascia ISEE più bassa, presenti più al Mezzogiorno che al Centro-Nord. Nella Figura 2, sulla base di dati SVIMEZ, è possibile osservare la platea studentesca suddivisa per fasce di contribuzione: nella prima fascia rientrano gli studenti che pagano una retta inferiore a 800 euro, nella seconda tra 800 e 1.500 euro, nella terza oltre 1.500 euro. Come nelle attese, quasi il 50% degli studenti del Mezzogiorno e il 30% di quelli del Centro-Nord rientrano nella prima fascia (retta annuale < 800 euro). Proprio le famiglie comprese nella fascia da 1-800 euro sono quelle più esposte al rischio di rinuncia alla prosecuzione del percorso universitario con un duplice costo sia individuale in termini di occupabilità e reddito atteso sia collettivo in termini di competitività del sistema Paese.

Proposte

1) Rendere sistematica la proposta strutturale del Ministero dell’Università di estendere la no tax area da 13.000 a 20.000 in tutto il Paese, prevedere innalzamento a 30.000.

2) Prevedere, in conseguenza della crisi, una borsa di studio statale che copra l’intera retta 2020 nelle Università pubbliche, vincolata al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano di studi nel primo anno di corso.

3) Considerare l’Università come fondamentale infrastruttura pubblica dello sviluppo destinando risorse specifiche del piano europeo Next Generation per rafforzare il diritto allo studio nelle regioni a più basso livello di reddito così da evitare che la crisi anche questa volta finisca per aumentare le diseguaglianze.

4) Valorizzare le infrastrutture della ricerca, sostenendo le esperienze positive esistenti nel Mezzogiorno attraverso il rafforzamento di 4-5 poli di formazione, ricerca e innovazione che possano diventare attrattori di capitale umano qualificato e imprese innovative.

5) Garantire un investimento sulle infrastrutture digitali che colmi il divario esistenti tra Atenei del Nord e Atenei del Sud. La crisi ha dimostrato l’utilità degli strumenti digitali e il Mezzogiorno deve farsi trovare pronto per evitare un ulteriore acuirsi del fenomeno della fuga dei cervelli in versione digitale.

6) Definire un piano organico di interventi per l’Università che coinvolga anche altri livelli istituzionali. Regioni o altri Ministeri, possono fare la loro parte prevedendo ulteriori misure a sostegno dei giovani che intendono intraprendere la carriera universitaria. Non solo in termini di tasse universitarie ma anche di servizi agli studenti, trasporti pubblici, diritto allo studio. La Campania, la Sicilia, la Puglia hanno già dato ottimi segnali in questo senso.

*SVIMEZ, Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno

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