Nuova terapia: "Può curare la sclerosi multipla"

Si tratta ancora di una sperimentazione clinica di fase I , condotta su un piccolo gruppo di soggetti per verificarne la sicurezza, ma i risultati di una nuova terapia per la sclerosi multipla, illustrata sulle pagine della rivista “Science Translational Medicine” da un gruppo di ricercatori della Northwestern University, sono incoraggianti: la reattività del sistema immunitario nei confronti della mielina risulta ridotta del 50-75 per cento, senza eventi avversi di rilievo e mantenendo la corretta funzionalità immunitaria nei confronti degli agenti patogeni. Secondo il modello più condiviso dalla comunità medico-scientifica, si legge su Scientific American, la sclerosi multipla è una malattia autoimmune, dovuta al fatto che il sistema immunitario attacca e distrugge la mielina, una sostanza che riveste gli assoni dei neuroni nel midollo spinale, nel cervello e nel nervo ottico.
Questo impedisce la corretta trasmissione del segnale nervoso, producendo un'ampia gamma di disturbi neurologici, dalla perdita di sensibilità alle difficoltà di coordinazione dei movimenti, di parola e di deglutizione. L'attuale terapia della sclerosi multipla si basa sull'immunosoppressione, che, pur mitigando l'aggressione allo strato di mielina, inibisce anche le funzioni del sistema immunitario che difendono l'organismo dalle infezioni e dai tumori. Un nuovo tipo di terapia si basa su un approccio differente, che tende a “ritarare” il sistema immunitario rendendolo tollerante alla presenza della mielina.
Il primo passo per arrivare a questo tipo di cura consiste nell'individuare gli antigeni bersaglio, cioè le proteine che scatenano l'immunità autoreattiva. Questi antigeni non sono ancora tutti noti con certezza, ma nella comunità medica c'è un buon accordo nel ritenere che tra di essi vi siano alcune proteine specifiche: la MBP (myelin basic protein),la MOG (myelin oligodendrocyte protein) e la PLP (proteolipid protein). Per rendere il sistema immunitario tollerante alla mielina, i globuli bianchi del paziente vengono filtrati e modificati accoppiandoli con un cocktail di questi antigeni noti della mielina, usando una complessa tecnica sviluppata dai coautori dell'articolo Roland Martin, Mireia Sospedra e Andreas Lutterotti dello University Medical Center di Hamburg-Eppendorf. In seguito, miliardi di queste cellule morte dotate di antigeni della mielina vengono iniettate per via endovenosa e arrivano nella milza, che filtra il sangue, consentendo all'organismo di disfarsi delle cellule invecchiate e morte, normalmente senza attivare la risposta immunitaria.
Nella milza, i globuli bianchi modificati vengono eliminati per fagocitosi: a contatto con cellule "amiche" ma dotate di antigeni della mielina, il sistema immunitario, secondo un meccanismo ancora non del tutto compreso, viene portato a riconoscere la mielina come innocua. Questi incoraggianti risultati preludono al prossimo avvio di un trial di fase II, cioè di una sperimentazione clinica di per verificare l'efficacia della terapia su un numero molto più ampio di pazienti.