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Cronache
Processo a Messina Denaro, "Decisivo nel 1992: senza il suo ok niente stragi”

Processo a Messina Denaro: "Mandante azione di guerra"

"La finalità delle stragi del '92 era quella di condizionare la vita politica del Paese, scegliendo i nuovi referenti politici del paese che potevano tutelare gli interessi di Cosa nostra e Matteo Messina Denaro fu uno dei mandanti di quell'azione di guerra". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, durante la requisitoria del processo in cui il latitante originario di Castelvetrano è imputato come mandante delle stragi di Capaci e di via d'Amelio del 1992. Secondo l'accusa, la strategia venne decisa nel corso di alcune riunioni alle quali partecipò Messina Denaro. "Non troverete un'informativa, una dichiarazione o una sentenza dalla quale trarre la prova della colpevolezza dell'imputato - ha aggiunto Paci - qui la prova è frammentata in una miriade di atti ed è complesso ricostruire la colpevolezza del soggetto". In apertura la corte d'Assise nissena presieduta dal giudice Roberta Serio ha chiuso l'istruttoria dibattimentale e il pm ha ricostruito il contesto di quegli anni a partire dalla sentenza di Cassazione del Maxiprocesso del 30 gennaio 1992.

"Intorno alla latitanza dell'imputato Messina Denaro si è costruita la figura di un mafioso che fa affari, che veste Armani, che fa pali della luce come dice Totò Riina nel carcere di Opera a Milano, uno di quella mafia che ha scelto la strategia della sommersione", ha proseguito Paci durante la requisitoria. "Il processo invece ci restituiscre una figura diversa dell'imputato: di un carnefice sanguinario che ha ucciso persone innocenti e bambini, uno stragista. Sono due parti della stessa figura - ha continuato - nel '92 aveva appena trent'anni quando Cosa nostra sferrò il suo attacco micidiale allo Stato, come risposta alle condanne del Maxiprocesso".

Nel corso della requisitoria Paci ha ricostruito il profilo di Messina Denaro. "Questo status non verrà mai rivendicato, rimarrà il capo di Trapani e il suo peso politico aumenterà, perchè il direttorio dell'epoca si sfila, con l'arresto di tutti gli altri componenti (Riina, Graviano, e Provenzano) ed è l'unico di quel famoso direttorio che prese le redini di Cosa Nostra dopo le Stragi. Pur essendo di Trapani, fu lui nel 1995 uno dei cerimonieri dell'iniziazione di Gaspare Spatuzza". 

Processo a Messina Denaro, "Trapani era casa di Riina"

"La provincia di Trapani è fondamentale per la storia e per il presente di Cosa Nostra, anche per i collegamenti con la mafia americana: dopo Corleone, era la casa di Riina", ha proseguito il procuratore aggiunto di Caltanissetta. "Nella zona meridionale sia Riina che Provenzano avevano acquistato molti terreni e quella era storicamente la loro area di riferimento, tanto che da Trapani negli anni Settanta partì l'assalto alle vecchie famiglie degli anni Ottanta, per sfociare nell'omicidio di Stefano Bontade del 1981. In quegli anni, nel trapanese - ha aggiunto - comandavano i Rimi ad Alcamo, i Minore a Trapani e i Buccellato a Castellammare del Golfo, tutti collegati con Gaetano Badalamenti di Cinisi, tutti spazzati via da Riina che - vinta la guerra - mise a capo i 'traditori'".

Nel corso della requisitoria il pm Paci ha ricostruito i vari avvicendamenti ai vertici delle famiglie trapanesi, evidenziando la discrasia tra l'effettivo ruolo di Mariano Agate e quello descritto da alcuni collaboratori di giustizia, come Vincenzo Calcara. "Per rendergli onore - ha detto - fu sciolto il mandamento di Marsala, dando vita a quello di Mazara del Vallo, capeggiato da Agate, che però non fu il capo delle mafia trapanese". Ruolo che per lunghi decenni venne ricoperto da don Ciccio Messina Denaro, padre dell'attuale latitante. "Il passaggio del testimone tra lo 'zu Ciccio e il figlio è uno degli argomenti di questo processo", ha aggiunto Paci, citando l'ultimo omicidio al quale avrebbero partecipato padre e figlio, risalente al 1989. "'Castelvetrano e Mazara del Vallo erano come San Giuseppe Jato e Corleone'", disse in aula Giovanni Brusca quando venne ascoltato il 12 dicembre 2017. "Trapani - ha spiegato Paci - in quel momento è terra di latitanti; molti di questi sono palermitani, come i corleonesi di Riina. Nel Novantadue il latitante numero uno era Totò Minore (capo della mafia trapanese, ndr), che fu uno dei primi a morire nella guerra degli anni Ottanta, ma ancora negli anni Novanta lo si cercava". Solo anni dopo si seppe che Minore era stato ucciso nel 1983.

Processo Messina Denaro, "Suo ok fondamentale per stragi"

"Il consenso di Messina Denaro è fondamentale, senza di questo Riina non avrebbe mai potuto ordinare le Stragi del 92' e l'attacco allo Stato", ha continuato Gabriele Paci, descrivendo il ruolo del latitante originario di Castelvetrano nelle due bombe di Capaci e via d'Amelio. "In fin dei conti si potrebbe dire che Riina si muoveva come un treno, avessero detto di no nel trapanese, sarebbe andato avanti lo stesso. Ma andiamo al contrario, cosa poteva succedere in caso di dissenso dei trapanesi? Se non avessero avallato la strategia di Riina, quale sarebbe stato il risultato del dissenso? Nessuno sarebbe potuto andare latitante a Mazara del Vallo, dopo le Stragi non avrebbero potuto contare sui contatti con la massoneria e probabilmente avrebbero perso decine di case e immobili acquistati negli anni ottanta", ha detto il pm, dopo aver ricostruito i contributi dei trapanesi all'ascesa di Totò Riina all'interno di Cosa Nostra.

Nell'atto di accusa il procuratore aggiunto ha ricostruito gli equilibri all'interno della mafia di Trapani, che fino agli anni novanta era stata identificata con don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo, e Mariano Agate. Entrambi però, in prossimità delle Stragi si sfilarono dalle riunioni determinanti. Comprese quelle del settembre-ottobre 1991 alle quali avrebbe invece partecipato il figlio Matteo. "Il collaboratore Vincenzo Sinacori (boss di Mazara del Vallo, latitante nei primi anni novanta assieme all'erede di don Ciccio ndr) raccontò che la forza di Riina era tale che non dovevi dire "si", ma dovevi essere convinto nel dirlo, perchè se così non era, rischiavi di essere ucciso e non tornare a casa", ha detto Paci; aggiungendo che "i trapanesi hanno fatto le loro fortune grazie a Riina, ma lui deve tutto ai trapanesi, basta pensare che nelle gare d'appalto i mazaresi arrivano sempre al risultato".

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