A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara - Affaritaliani.it

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A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara

I libri rientrati nella dozzina e le interviste agli autori: lo speciale di Affaritaliani.it sul Premio Strega 2025

di Chiara Giacobelli

9) Perduto è questo mare di Elisabetta Rasy (Rizzoli)
     
Nel suo nuovo romanzo Perduto è questo mare, edito da Rizzoli, Elisabetta Rasy firma una meditazione lirica sul tempo e sulla perdita, attraverso una prosa ricca di suggestioni e intrisa di malinconia. A partire dalla scomparsa di Raffaele La Capria, figura amatissima e presenza costante per oltre trent’anni, la narrazione si apre come un diario interiore, una sorta di resoconto affettivo che scava nei sedimenti dell’esistenza, tra vincoli familiari e legami elettivi.
     
La scrittrice ritorna alla propria infanzia, trascorsa in una Napoli ambivalente, allo stesso tempo solare e segnata da rovine. È in questo scenario sospeso, plasmato dalla luce e dalla disfatta, che si snoda la vicenda del padre, Lello: ex aviatore, gentile e premuroso, figura centrale nei primi anni della figlia e poi assente, dopo la separazione che lo allontana per sempre dalla bambina, portata via a Roma da una madre stanca e disillusa. Il loro ultimo incontro, in una Napoli estiva del 1963, restituisce il volto di un uomo svuotato, emblema di un abbandono irrimediabile.
     
Accanto alla figura paterna, si staglia quella dell’autore di Ferito a morte: La Capria, amico e confidente, è il controcanto maschile che accompagna la protagonista lungo un arco narrativo costellato di echi letterari, richiami mitologici e riflessioni sull’identità. Napoli, ancora una volta, non è semplice sfondo ma protagonista invisibile, entità viva che avvolge e respinge. Non è quella rumorosa dei cliché, bensì un luogo opaco, fatto di partenze, assenze e illusioni infrante.


 

     
Il romanzo procede per risonanze emotive e scarti temporali, in un flusso in cui l’infanzia, l’età adulta e il lutto si fondono. Rasy affronta con grazia tematiche universali: l’affetto interrotto, il desiderio di ricomporre un mosaico intimo, la nostalgia come chiave di accesso al senso delle cose. La memoria, fragile ma tenace, diventa così strumento per reinterpretare le relazioni, anche quelle che sembravano ormai perdute.
     
Nel ripercorrere il passato, l’autrice si interroga sul significato della paternità, sull’amicizia come rifugio e sulla possibilità di riscrivere le proprie origini. L’andamento rievocativo, mai indulgente, restituisce un ritratto umano vivido e commovente, dove i dettagli – una telefonata, una vacanza, una stanza – assumono un peso inaspettato. L’elemento marino, evocato fin dal titolo, è metafora di un legame tanto vasto quanto irrecuperabile, di un sentimento che fluttua tra approdo e deriva.
Elisabetta Rasy, con uno stile sobrio e intensamente evocativo, tesse una tela di affetti e ricordi che si fanno universali. Perduto è questo mare è una riflessione sul tempo che ci separa dalle persone amate e sulla letteratura come luogo in cui, forse, è ancora possibile ritrovarle.


 

Intervista all’autrice

Ritroviamo nel suo romanzo un tema che, insieme alla malattia mentale, è un po' il leit motiv di questo Premio Strega: il rapporto difficile tra genitori e figli. 
 “Se, quando ero una ventenne, negli anni Settanta dello scorso secolo, mi avessero parlato delle famiglie arcobaleno, avrei pensato a uno scherzo o a una storia di fantascienza famigliare. Oggi sono una realtà che, tra tante difficoltà, ha avuto anche riconoscimenti legali. Faccio questo esempio particolare per sottolineare i cambiamenti radicali nell’ambito della famiglia che sono avvenuti negli ultimi cinquanta anni: cambiamenti di leggi, di abitudini, di costume, di mentalità, di possibilità. 
I nostri sentimenti seguono però talvolta una cronologia diversa e spesso è proprio da questa contraddizione e dal bisogno di metterla a fuoco che nascono molti romanzi o memoir a tema famigliare. Oggi i rapporti tra le generazioni sono usciti da schemi tradizionali, non si basano più su ruoli codificati e al posto delle certezze, talvolta false, di un tempo, troviamo spesso complicati interrogativi. Anche se non bisogna dimenticare che dai classici dell’antica Grecia alle storie della Bibbia, cioè i libri fondatori della nostra cultura, la famiglia è sempre stata un tema centrale, con tutti i problemi e i sentimenti contrastanti che suscita”. 
     
Ci sono molti echi di mitologia e di letteratura. Quali sono state le sue fonti, le influenze, i modelli a cui ha guardato o che l’hanno ispirata nello scrivere questo libro? 
“Tutta la mia vita, fin dalla prima infanzia, è stata caratterizzata dalle continue letture. Sono, e sono sempre stata, una lettrice onnivora, spaziando dalle fiabe ai contemporanei con la stessa curiosità e passione. Ci sono naturalmente libri che mi hanno colpito in modo particolare o mi sono rimasti nel cuore, alcuni ne cito in questo libro, opere molto diverse tra loro. Amo molto i primi sei libri dell’Eneide, quelli sul carattere e sui sentimenti, oltre che sulle vicende, di Enea, così come amo molto e ho letto e riletto un piccolo classico del genere autobiografico che è la Lettera al padre di Franz Kafka. 
Ne parlo nel libro perché fanno parte del mio patrimonio interiore: sia gli autori sia i personaggi sono figure di un mio personale album dei ricordi e non semplicemente della mia storia culturale”. 
     
C’è molto di autobiografico in questo romanzo, a cominciare dall’amicizia con Raffaele La Capria. Lei ha scritto molte opere di vario genere. È più o meno difficile parlare di sé in prima persona, e cosa ha rappresentato la città di Napoli per lei?
“Non credo a una distinzione radicale tra romanzo e autobiografia: il romanzo è per sua natura una forma ibrida, dunque aperto a varie strategie e opzioni narrative. Una scrittrice, uno scrittore parla comunque di sé e mette sé stesso sulla pagina anche quando parla d’altro: dall’epica alla fantascienza l’autore, la sua esperienza individuale sono sempre presenti. 
Oppure può succedere il contrario: io ho spesso parlato di me attraverso altre figure nei miei libri di saggistica narrativa, come per fare un esempio in Le disobbedienti, dedicato a sei pittrici di epoche diverse. E se invece entro nel terreno dell’autobiografia, o del memoir, devo stabilire una distanza tra me che scrivo e la figura che dice io sulla pagina perché il libro possa prendere davvero forma. Del resto, maestro di narrazione autobiografica è stato proprio Raffaele La Capria, che mi ha insegnato quanto scrivendo si debbano coniugare libertà e rigore, verità e memoria immaginativa. 
Ripensare a Napoli per me significa proprio cercare di esercitare queste virtù, non cadere nei luoghi comuni sulla città, non tradire la verità ma neanche l’immaginazione che da quella verità scaturisce. E credo che per lui come per me Napoli sia stata una città intensamente reale e concreta, e nello stesso tempo mitica, come i luoghi che si amano e da cui la vita ci allontana”.