Culture
A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara
I libri rientrati nella dozzina e le interviste agli autori: lo speciale di Affaritaliani.it sul Premio Strega 2025

8) Chiudo la porta e urlo di Paolo Nori (Mondadori)
Con Chiudo la porta e urlo, Paolo Nori consegna ai lettori un’opera intensa, vibrante, dove il fluire autobiografico si intreccia alla voce profonda della poesia, in particolare quella, obliqua e dialettale, di Raffaello Baldini. Pubblicato da Mondadori, questo libro sfugge alle definizioni, oscillando tra racconto, confessione, diario emotivo e riflessione metaletteraria.
L’autore emiliano sceglie di esplorare la propria interiorità attraverso un continuo dialogo con l’opera del poeta santarcangiolese, recuperando versi dimenticati, cadenze vernacolari, epifanie domestiche che sembrano custodire l’intero mistero dell’esistenza. Non si tratta solo di un omaggio, ma di un vero e proprio innesto, dove l’immaginario di Baldini si fonde con quello di Nori, generando un testo stratificato e sorprendente, in cui l’io narrante si espone con un’autenticità disarmante.

Il volume si struttura come un mosaico di episodi, ricordi e osservazioni, che rivelano il tentativo costante di comprendere sé stessi attraverso gli altri. Baldini diventa specchio e guida, non solo per la sua abilità di rendere universale l’esperienza più umile, ma per la radicalità con cui ha dato voce all’inquietudine del vivere. Ogni componimento, ogni frase evocata, apre una fessura nella memoria, una fenditura da cui trapelano immagini, domande, sconfitte.
Nori scrive come si respira, come si piange, come si ride di sé. La sua lingua non cerca ornamenti, ma verità. Si muove in equilibrio tra dialetto e italiano, recuperando un tono familiare e al contempo colto, che trasmette tenerezza e amarezza, ironia e malinconia. Il ritmo del testo è scandito da formule ricorrenti, da ritorni che sembrano rituali: “cominciamo pure”, “continuiamo pure”. Frasi che segnano la ciclicità del pensiero, la sua impossibilità di darsi pace.
Il tema centrale è il rapporto tra vita e letteratura, tra dolore e creazione. Ogni pagina è un tentativo di afferrare l’essenziale, di trattenere ciò che sfugge. C’è spazio per la nostalgia, per i rimpianti, per la rabbia contro un mondo che non smette di ferire. Ma c’è anche la gratitudine verso coloro che hanno indicato una via, come Dostoevskij, Achmatova e, ora, Baldini.
Chiudo la porta e urlo è un libro che commuove e disorienta. Non è solo un viaggio nell’universo poetico di un autore colpevolmente trascurato, ma anche un’autobiografia intellettuale, una mappa delle ossessioni che tengono in vita chi scrive. Paolo Nori firma così una confessione poetica dal timbro unico, in cui l’atto dello scrivere si confonde con quello dell’essere, e la letteratura diventa rifugio, specchio, salvezza.

Intervista all’autore
Da Dino Campana a Raffaello Baldini, questo Premio Strega ridà voce e merito alla poesia. Ne è felice?
“Io non credo di essere mai stato felice, anzi, non voglio proprio, essere felice, perché la felicità, in dialetto parmigiano, non esiste. Non si dice, in parmigiano, «Sono stato felice», si dice «A son sté bén», son stato bene, e, è una cosa che ho scoperto che avevo già 42 anni, il mio italiano ha le radici nel dialetto parmigiano.
Sono contento che nei dodici dello Strega ci siano due libri dedicati a due poeti; se ripenso però a una delle prime poesie che ho letto, che comincia coi versi «Stupefatto del mondo mi giunse un’età / che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo» io mi dico che non c’è bisogno di me, per avvicinare i lettori alla poesia, e che l’impresa sarebbe tenerli lontani, dalla poesia”.
Questa volta lascia la sua amata Russia per tornare in Italia, a Sant'Arcangelo di Romagna. Al netto del fatto che ogni poeta è unico e inimitabile, è possibile tracciare delle differenze di massima tra la poesia russa e quella italiana, anche guardando alla loro storia?
“Più che alle differenze, io sono interessato alle somiglianze e anche per via del fatto che la letteratura russa è l’unica letteratura che ho studiato con metodo, i libri russi che conosco sono il mio metro, il mio termine di paragone, la mia tabella degli elementi; tutti i libri che leggo, in un certo senso, diventano libri russi, nella mia testa, e quando ho letto Baldini io ho subito pensato a Puškin, la stessa semplicità e la stessa potenza”.
Sono passati ormai diversi anni da quando tentarono di bloccare i suoi corsi per via della guerra in Russia e siamo ancora nella stessa situazione, anzi forse peggio. Cosa le suscita tutto questo, i bombardamenti su Kiev e l’apparente impossibilità di trovare una soluzione pacifica?
“In un libro che stavo scrivendo nel febbraio del 2022, Vi avverto che vivo per l’ultima volta, ho raccontato che, nei primi giorni di guerra, sono rimasto attaccato alla radio e alla televisione russa e ho fatto fatica a pensare a dell’altro. E che su Dožd’ TV, un canale indipendente che si vede su You-Tube, ho sentito un ragazzo, un cittadino russo, che diceva che lui era nato a Kiev, e aveva fatto le scuole a Kiev, e a Kiev abitavano sua mamma e suo fratello, e lui si era svegliato quella mattina che la sua nazione, la Russia, bombardava Kiev, bombardava sua mamma, e suo fratello, e poi aveva taciuto e aveva stretto le labbra e non sapeva più cosa dire e gli veniva da piangere e veniva da piangere anche a me e oggi, sono passati più di tre anni, non è cambiato niente, mi viene ancora da piangere”.