Culture
A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara
I libri rientrati nella dozzina e le interviste agli autori: lo speciale di Affaritaliani.it sul Premio Strega 2025

7) Ricordi di suoni e di luci. Storia di un poeta e della sua follia di Renato Martinoni (Manni)
Con Ricordi di suoni e di luci. Storia di un poeta e della sua follia, Renato Martinoni non firma una semplice biografia romanzata, ma un’opera sospesa fra realtà e invenzione, capace di restituire, con sconcertante nitore, il crepuscolo esistenziale di Dino Campana, genio irregolare del Novecento. Pubblicato da Manni Editori, il libro esplora l’abisso interiore di una figura tragica, condannata all’incomprensione, alla marginalità, al manicomio.
Strutturato in quattro sezioni – La fata verde, La fata bianca, La fata rossa, La fata nera – il romanzo si configura come un percorso a stazioni, ognuna popolata da visioni, incontri, apparizioni che sfumano tra veglia e delirio. Al centro della narrazione, non il nome, che compare solo all’epilogo, ma “il poeta”, emblema archetipico dell’artista divorato dal proprio fuoco creativo. La realtà, nel tessuto narrativo di Martinoni, si dissolve in una dimensione evocativa e straniante, dove la parola si fa specchio frantumato dell’anima.

In questo itinerario a ritroso – dagli anni successivi ai Canti Orfici sino alla fine nel manicomio di Castel Pulci – l’autore tratteggia una figura animata da contrasti laceranti: fame di infinito e condanna alla solitudine, ispirazione febbrile e smarrimento identitario, lucidità acuminata e perdita progressiva della propria voce. Ogni capitolo è un tassello che compone il mosaico spezzato di un’esistenza votata alla poesia come unica ragione di vita e causa della sua rovina.
Martinoni – già esegeta campaniano e narratore di profonda sensibilità – intreccia in queste pagine l’erudizione dello studioso alla libertà dell’invenzione letteraria, dando vita a una “fiaba lirica”, dove la follia non è solo patologia, ma cifra poetica, segnale estremo della distanza insanabile tra l’uomo e il mondo. Attraverso immagini folgoranti e dialoghi sussurrati, si delinea una geografia interiore disegnata da abbandoni, speranze e visioni.
Le apparizioni femminili – figure trasfigurate di amori, presenze, ossessioni – costellano l’opera come simboli ambigui, incarnazioni dell’amore negato e della salvezza mancata. Samia, traslitterazione letteraria di Sibilla Aleramo, diventa emblema dell’illusione erotica e della ferita mai rimarginata. Gli incontri, i viaggi, le peregrinazioni, assumono valore iniziatico: ogni passo verso l’esterno è anche un affondo nell’abisso psichico.
Il linguaggio, ricco di risonanze simboliste e sfumature decadenti, riflette l’anima tormentata del protagonista, e ne accompagna la discesa nella perdizione. Martinoni costruisce una macchina narrativa precisa, ritmica, incantatoria, dove ogni parola evoca un’eco, ogni scena suggerisce un’allegoria. La poesia, più che un tema, è la materia stessa del racconto.
Questo libro non è dunque una commemorazione, ma una sfida: ci invita a guardare il margine, a confrontarci con l’enigma del genio, a considerare la follia non come scarto, ma come rivelazione. Campana – o “il matto Campèna”, come lo chiama il popolo – non è solo il protagonista, ma la domanda irrisolta su cosa significhi vivere la poesia sino al sacrificio.
Ricordi di suoni e di luci è un tributo vibrante alla parola che arde, alla mente che si consuma nell’eccesso di visione, un inno struggente alla bellezza che non concede tregua. Un romanzo che, come l’autore, si inoltra coraggiosamente nei territori più segreti dell’umano.

Intervista all’autore
Dino Campana e Sibilla Aleramo sono due personaggi importanti, di cui tanto si è detto e autori a loro volta. È stato difficile scrivere di loro?
“Non mi sono mai sentito in soggezione perché ho narrato una vicenda vecchia di un secolo e oltre, e anche perché quella di Campana è la vita di un uomo e di un poeta, non quella di un eroe romantico che vive un amore travagliato.
Certo, scrivere di qualcuno che è esistito, anche se il mio è un romanzo e non una biografia, è sempre difficile: bisogna farlo con rispetto, stando lontani dai luoghi comuni, dalle banalità e dai pettegolezzi, e conoscendo a fondo l’uomo, senza però essere condizionati dalla storia. La narrazione poi consente di immaginare un incontro, quello fra Dino e Sibilla, che nel mio caso è occasione per parlare di poesia: perché per Dino Campana, quello vero ma anche per il mio personaggio, l’amore autentico non è una donna, ma la poesia”.
Come ha detto anche la Presidentessa Melania Mazzucco, la follia e la malattia mentale sono il leit motiv di questa edizione del Premio Strega. Ha a che fare con l’epoca in cui viviamo?
“Nel caso di Campana la follia è una tragica componente di vita. Già quando era giovane il poeta ha subito dei ricoveri, e la sua esistenza è stata un continuo vagabondare: cioè la ricerca di qualcosa e anche la fuga da qualcosa. Bisogna però evitare di leggere la poesia di Campana, una poesia davvero alta e unica nel panorama letterario italiano, come il frutto della pazzia: sarebbe una lettura troppo semplicistica e anche ingenua da un punto di vista culturale.
Per venire alla sua domanda: a lungo la “malattia mentale” è stata vista come una colpa da espiare, o nel migliore dei casi un problema da tenere nascosto, o nel peggiore una manifestazione patologica da punire con la reclusione. I progressi della scienza e un’accettazione sociale meno gravata di pregiudizi permette di guardare oggi a queste realtà con più serenità e rispetto.
Penso che dietro etichette come “follia” e “malattia mentale” ci siano questioni molto complesse che non possono essere risolte nel semplice uso delle parole. Una volta il mondo veniva diviso fra “sani di mente” e “matti”. Per i primi c’era la salvezza e per i secondi la condanna. Oggi per fortuna siamo messi un po’ meglio, ma il mondo, con tutto quello che succede di brutto e di preoccupante, è spesso motivo di inquietudine.
Il fatto che anche la cultura affronti queste problematiche è positivo, a condizione che non ne faccia nuovamente una semplice moda del momento. Importante è invece sensibilizzare e soprattutto riflettere, anche raccontando”.
Che cosa significa per lei essere nella dozzina dello Strega?
“Lo vivo con grande gioia. Sono uno svizzero, cioè un extracomunitario, ancorché di madre italiana. Abito nel mio Paese e ho lavorato in Svizzera (quella di lingua tedesca), ma nella mia vita ho sempre prestato grande attenzione nei confronti dell’Italia e della sua cultura. E ho pubblicato in Italia parecchi dei miei libri.
Entrare nella dozzina del Premio Strega è per me un segno molto importante: lo apprezzo perché mi sento membro di una comunità, la vostra”.