Anche quest’anno il festival “Quartieri Dell’arte”, diretto dal drammaturgo Gian Maria Cervo dimostra di essere una delle rassegne culturali itineranti che propone al pubblico spettacoli di grande interesse e drammaturgie da noi poco esplorate come quella norvegese. Fra gli eventi più interessanti segnaliamo, la prima nazionale de "L'asino" di Jon Jesper Halle, scrittore, drammaturgo e professore di scrittura alla Oslo National Academy of the Arts, per la regia di Gianluca Lumiento . Una coproduzione del Festival con KHIO Oslo, Florian Metateatro e Teatri Molisani.
Lo spettacolo si è svolto, il 20 settembre, tra i castagni centenari dei Giardini di Ararat (Bagnaia - VT). Il pubblico seduto in cerchio intorno ad una scenografia minimale ma efficace ha assistito alla rappresentazione dell'anima di una donna in cerca di fuga, raccontata da uno dei più importanti autori del teatro norvegese contemporaneo. L’asino è un testo polivocale, in cui il linguaggio è il vero motore del dramma, secondo le teorie di scrittura elaborate da Paul Castagno all’inizio del secolo (New Playwriting Syrategies, 20001). La realtà eterogenea nelle nostre società si riversa nel panorama drammaturgico e crea contaminazioni: un acquario linguistico che diventa anche uno zibaldone metalinguistico: un modus vivendi narrativo contaminato e plurilingiustico.
Il testo racconta la storia di Kari, un donna di mezza età che si sente intrappolata nella propria vita, nel proprio passato, prigioniera di una società di cui non si sente parte e per questo vuole fuggire, andare in un altro posto. Ma è davvero possibile? Esiste un altro posto dove andare se noi rimaniamo gli stessi di prima? Cambiamento, mutazione, metamorfosi e trasformazione: è questo il viaggio della donna protagonista del dramma di Jon Jasper Halle, una delle firme più importanti del teatro norvegese contemporaneo. L’azione nel testo è la fuga di Kari da una società della quale non vuol più far parte, verso una della quale non conosce ancora niente.
Affaritliani.it ha incontrato Anna Paola Vellaccio, protagonista, nei panni di Kari, insieme a Stefano Sabelli nel ruolo della “voce”. Un’attrice amata dai registi cult che ha debuttato in palcoscenico a 15 anni con Paradis di Philippe Sollers.
Come si è immedesimata con questa donna invisibile?
Anche se mi sento sempre una ragazzina vivo anch’io, in parte, il disagio di Kari. Mi accorgo che, appena spuntano i capelli bianchi, una donna sente venir meno l’attenzione delle persone che incontra. Ci si sente sorpassate, quasi inutili. Quelle che hanno una vita professionale di successo forse reggono più il colpo, ma le donne che nella loro viva si sono dedicate solo alla famiglia ed agli affetti entrano in crisi perché si sentono accantonate.
Quanto si è preparata per questo ruolo?
Abbiamo fatto solo due settimane di prove che non sono tantissimo però, già alla prima lettura, il testo mi è piaciuto perché ha una duplice matrice: realistica ed onirica. Il posto di cui parla Kari non è un luogo preciso ma un luogo della psiche o del’anima dove sta facendo i conti con se stessa. La figura dell’uomo in smoking nel testo viene chiamato “Voce”, quella interiore con la quale lei dialoga e che la porta a scoprire le carte e a portare a galla i nodi emotivi irrisolti della sua vita. Fino a rovesciare la situazione.
Ma questa donna fragile arriva ad uccidere la figlia….
Non si sa se lo fa davvero, se veramente si trasforma da asino in lupo ed uccide la ragazza o immagina solo di farlo. Quando la rabbia rimane per molto tempo repressa e non evidente agli altri il sentimento può diventare defragrante e trasformare le persone.
Per questo Kari chiede alla voce di essere uccisa?
Si ma la scena è molto soft, non c’e violenza ma sono abbandono. Rappresenta una morte interiore, sentirsi scartata dalla società. Kari è una donna frustrata, negata ma che continua a bramare, a soffrire.
Lei è particolarmente attratta dalla drammaturgia scandinava?
Si, sono molta attratta da questa drammaturgia. Non ho mai interpretato testi di Ibsen e Strindberg, non ho mai avuto occasione di recitarli anche se mi hanno attratto durante i mie studi. Due scrittori molto diversi uno norvegese, l’altro svedese. Nel 2015 ho interpretato ”Inverno” per la regia di Vincenzo Manna, un testo di Jon Fosse scrittore norvegese famoso. Un lavoro interessate che parla di un lui ed una lei ma che noi abbiamo riscritto con due donne protagoniste. Drammaturgia ridotta all’osso ne L’asino, invece, le cose sono più esplicite anche se l’atmosfera si mantiene sospesa fra blocchi di realtà e blocchi poetici. Una linea che gioca fra l’onirico e la verità la prosa e la poesia.
Chi vorrebbe interpretare oggi?
Vorrei soltanto poter lavorare, rincontrare il pubblico a teatro. I mesi trascorsi nel lock down sono stati traumatizzanti per tutti. Anche ora questo strascico di cautele e distanze uccideno il teatro che è fatto di persone che si incontrano. Spero che si possa presto tornare a vivere il palcoscenico come prima.
Progetti futuri?
A causa della pandemia ho dovuto interrompere la tourneé dello spettacolo “La chiave dell’ascensore” un testo di Agota Kristof per la regia di Fabrizio Arcuri, che è stato già presentato nel 2017. Una storia sul femminile dove si affronta il tema della violenza psicologica subita da una donna chiusa in una torre d’avorio dal marito che la tiene prigioniera; un testo molto bello, parole scolpite. E’ uno spettacolo a cui tengo molto che vorrei riportare a teatro. Inoltre ho un progetto di uno spettacolo più grande di cui sono già iniziate le prove da un anno che spero possa debuttare in autunno
Di cosa si tratta?
Di una nuova rappresentazione della tragedia di “Fedra” riscritta da Marina Cvetaeva, la grande poetessa russa del primo novecento. La sua è una rilettura con occhi femminili di una delle figure classiche più importanti.
Ha fatto anche un’incursione al cinema con il regista Infascelli….
Si, ho recitato ne “Il siero della vanità”, un thriller movie diretto da Alex Infascelli. Un regista molto simpatico con il quale ho avuto un ottimo rapporto. Un’esperienza cinematografica più grande è stata quella con il regista Emidio Greco con “Notizie dagli scavi”, un film con Giuseppe Battiston, e Ambra Angiolini e Iaia Forte che è stato presentato in anteprima al 67.ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. L’esperienza del glamour del red carpet è stata molto emozionante ma, fondamentalmente, io preferisco il teatro al cinema.
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