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Culture
“Being Leonardo da Vinci" a New York. Le librerie romane chiuse per ignavia

Di Massimiliano Finazzer Flory (attore e regista)


Chi viaggia e fa l’artista non è mai solo. Se poi è italiano o ancor meglio esule è sempre accompagnato da Dante, dalle sue opinioni «Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Il 25 marzo dunque saremo recitati da Dante ma non nelle 235 librerie romane chiuse per ignavia politica in 10 anni.

Nel frattempo un successo italiano a New York è sempre una bella notizia. Almeno per chi ama New York. Se poi avviene al cinema dovrebbe far pensare. Cosa significa “successo”? Cosa significa cinema? “Being Leonardo da Vinci. An impossible interview” da me diretto e interpretato pochi giorni fa ha ottenuto il “Diamond Award” Best Feature Film al New York City Indie Film Awards Festival. Per quest’opera è giunto anche un prestigioso riconoscimento da parte del Governo francese: la Medaglia d’argento per aver valorizzato il paesaggio francese con il film girato tra Clos-Lucé e Amboise nella Valle della Loira (bello di suo, s’intende!). Sono grato all’Italia di questi risultati. Dal 2011 ad oggi ho girato il mondo, attraversato tutti i continenti, recitato in più di 40 Stati e sono riconoscente al nostro linguaggio e alla nostra tradizione. Lo sono meno se penso a noi italiani. Siamo sempre più superficiali, un po’ tristi, a volte aggressivi. Ma soprattutto e mi pare l’aspetto politicamente più significativo sempre meno indipendenti. Individualmente e collettivamente. Per il riconoscimento a New York sia per quello a Parigi non ho avuto né cercato nessuna raccomandazione e sono davvero ignaro della giuria e di chi abbia posto la candidatura.

WINNER BEST FEATURE FILM Being Leonardo da Vinci   Diamond Award NYC Indie Film Awards   2020
 


Alla gioia e all’onore di questi due “successi” mi domando se in Italia sia così facile. In particolare parlando di cinema dobbiamo pensare seriamente cosa significhi essere indipendenti. Vorrei soffermarmi sull’articolo di Martin Scorsese pubblicato recentemente sul New York Times. Ho conosciuto a Parigi nel 2016 Scorsese in occasione della mostra a lui dedicata dalla Cinémathèque française nell’ambito della quale si omaggiava anche lo straordinario sodalizio con Giorgio Armani altro grande “regista” della nostra epoca. Scorsese giustamente sottolinea quanto sia pericolosa la scomparsa di un cinema indipendente. Sottolinea come il cinema debba riguardare una rivelazione estetica, emotiva e spirituale. Un cinema i cui protagonisti “non rinuncino alla complessità delle persone e alla loro natura contraddittoria e talvolta paradossale, al modo in cui si possono ferire a vicenda e improvvisamente trovarsi faccia a faccia con sé stessi.” Sono d’accordo come attore su quanto afferma il regista italo-americano credo che amare la complessità ci aiuti a capire il pensiero sistemico del personaggio Leonardo e del modo con cui è interpretato e rappresentato. A partire dal tema dell’indipendenza. Nel mio film dove la lingua rinascimentale di Leonardo diventa corpo e biografia il Maestro avverte: “Chi poco pensa molto erra”. Questo atteggiamento implica inevitabilmente a pensare alle nostre contraddizioni e trasformarle. Quando Leonardo dice che “se un uomo vincesse in battaglia mille omini minor vittoria avrebbe di colui che vincesse sé medesimo” indica la dimensione di un uomo senza pace che non si sottrae al paradosso di un personaggio la cui vita è in lotta con l’autostima e il merito. Leonardo dunque attore e regista di sé stesso ha offerto un’idea del cinema prima del cinema. Non solo dal punto di vista della fotografia, dell’ottica, delle tecnologie. Si pensi alla sua idea di superficie, di lume, di ombra, di prospettiva… Del resto se oggi abbiamo il drone il merito è anche suo. Era tuttavia inevitabile che nell’anno delle celebrazioni per i 500 anni dalla scomparsa di Leonardo (sia chiaro: scomparsa e non morte perché il suo pensiero è vivo tra noi) gli interlocutori del genio siano stata i suoi principali nemici “gli abbreviatori de opere che fanno ingiuria alla cognizione e all’amore”. Ma il Leonardo innamorato della vita guarda allo specchio se stesso e il suo sorriso muta sotto lo sguardo severo di lui filosofo. Quest’ultima identità di Leonardo è la più sottile perché ci mette in scena offrendo non di rado la sua caricatura del potere per “intrattenerci” e farci chiedere: cosa significa pensare? Una risposta possibile è credere all’Uomo di Vitruvio come un manifesto dell’ecologia profonda al servizio di una scienza ingentilita dall’arte. Forse se Leonardo avesse disegnato un bambino e non un uomo avremmo capito meglio e prima. C’è un episodio della sua infanzia dove egli si aggira all’interno di una grotta buia. Prima di entrarvi teme l’oscurità. Ma poi il desiderio prevale sulla paura. In quella grotta scoprirà dei segni di animali marini, una balena fossile. Che cos’è allora il cinema se non una storia per immagini che spiazza il senso della realtà, dove la nostra conoscenza è frutto di un’immaginazione in lotta con immagini, dove quest’ultime più grandi di noi ci dominano e immedesimandoci ci fanno diventare parti di loro? L’ammonimento di Leonardo ovvero “Nessuna cosa si può né amare né odiare se non si ha una grande cognizione di quella” rimane la migliore fotografia, mai sbiadita di una ricerca di rivelazione estetica che non rinunci all’indipendenza. Il genio del Rinascimento non ne ha mai fatto meno, dissimulando i suoi servizi difronte alla committenza con il fine ultimo dell’unità dell’opera, proiettando tutti i saperi sul grande schermo della storia. Se vogliamo tornare in Italia ad una indipendenza che attualmente soffre la dipendenza finanziaria dobbiamo prima di tutto recuperare e risolvere l’indipendenza intellettuale lontana dalle luci del clamore. Tornare nella grotta di Leonardo e scegliere: il desiderio contro la paura.

 

 

          

 

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