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Culture
La danza dei piedi, ovvero l’educazione sentimentale del viandante

di Gianmaria Nerli

Ti sei mai chiesto veramente perché ogni volta che ti cade l’occhio su un titolo che richiama al camminare, al cammino, ai pellegrini, ai viandanti, a chi usa i piedi per mettersi in viaggio, ne sei incuriosito? Ti sei mai chiesto cos’è che ti attrae dell’esperienza del camminare, dell’affidarti alle sole forze del tuo corpo, di misurarti con la natura il più possibile da pari a pari? Ti sei mai chiesto perché uno degli atti più umani e semplici che ci sia, camminare, ti appaia istintivamente una delle scommesse più intriganti, una delle esperienze più emotivamente intense che oggi riesci a immaginare? Se queste sono le domande che ti passano per la testa è il momento giusto per leggere il nuovo libro di Luigi Nacci (Viandanza. Il cammino come educazione sentimentale, 141 pp., Laterza, 14 €) che proprio da interrogativi come questi prende inizio per raccontare la girandola di emozioni, di sentimenti e di scoperte che ti attraversano quando ti metti in cammino.

Sì, il pronome a cui si rivolgono le parole di questa recensione, proprio come quelle del libro di Luigi Nacci sei proprio Tu, il libro si rivolge proprio a te, te che sei incuriosito dal camminare, o che sei in procinto di metterti in cammino, o che magari sei già un viandante conclamato. Ma non montarti troppo la testa, il tu a cui si rivolge non comprende solo te, comprende potenzialmente tutti noi, perché l’esperienza del camminare, si intuisce subito, è resa esperienza universale, luogo in cui si condensano al massimo grado simbolico le peripezie delle vicende umane, come è accaduto nei secoli con le storie dei pellegrini che a tal punto hanno penetrato l’immaginario dei popoli da essere spesso quasi naturalmente trasformate in exempla, in modelli da conoscere e imitare.

E proprio ripercorrendo, tappa dopo tappa, due cammini esemplari, la via verso Santiago de Compostela e la Francigena, la strada che conduce a Roma, Luigi Nacci ripercorre anche, tappa dopo tappa, il cammino sentimentale e intellettuale che intraprende chi vuole essere viandante, cioè chi sente di doversi mettere in cammino sospendendo o chissà ribaltando i tempi della vita ordinaria. È infatti il fantasma della vita sedentaria e urbanizzata, dove si è prigionieri di quell’immobilità fatta di riti e relazioni sociali che hanno smarrito ogni significato, che accompagna il pellegrino lungo il suo cammino a Santiago o a Roma: ed è caricandosi in spalla questo fantasma, non eludendolo, che al viandante si schiude la possibilità dell’esperienza stra- ordinania che è il cammino. Perché, scoprirà il lettore, mettersi in cammino è innanzitutto iniziare un viaggio, mettersi alla ricerca, tracciare mappe, dissodare campi, irrigare alberi, dare nutrimento ai sogni, imparare a condividerli, imparare a accogliere l’altro da noi, in tutte le sue forme. Il cammino, e non può essere diversamente, è il luogo per eccellenza della possibilità, è il tempo dell’accadere, è il quando/dove dell’esperienza stra- ordinaria, e quindi dell’incontro con sé, con gli altri, con i propri fantasmi, appunto. È il cammino la vera meta del viandante, ci dice Nacci. Perché il cammino non sono tanto i luoghi che si incontrano, di cui dimenticheremo i nomi, i colori, le forme, il cammino è la paura e lo stupore, la nostalgia e l’arroganza, lo spaesamento e la disillusione, l’allegria e l’umiltà, il cammino è una possibilità reale di educazione sentimentale alla vita.

E se il cammino è dove il viandante può imparare a conoscere chi è, la Viandanza di Nacci è dove il lettore, il Tu a cui si rivolge il libro, può imparare che il passo da fare per diventare viandante, piccolo o grande che sia, è e sarà sempre alla sua portata. Come accade nelle opere che non lasciano indifferenti e che sanno mobilitare il lettore, questa scrittura in cammino e di cammino è un condensato di sorpresa e spaesamento: è insieme un saggio, un romanzo d formazione, una lettera indirizzata a te, una guida al viaggio, uno zibaldone di pensieri, un testo dal ritmo incalzante (Nacci è prima di tutto un poeta), un racconto esemplare. Ma sorpresa e spaesamento non nascono semplicemente dalla sapiente ibridazione dei vari registri, quanto piuttosto dall’intensità che proprio grazie a tale ibridazione si riesce a raggiungere.

Un racconto riuscito, scriveva Julio Cortázar, non smette di parlare quando è finito, ma chiusa la pagina fa deflagrare nel lettore un’immensità di idee, concetti, sentimenti. Ogni volta che si passa da un capitolo all’altro, da una tappa all’altra dell’educazione sentimentale, un nuovo universo di idee e di sentimenti è deflagrato all’attenzione del lettore. Che impara subito a lasciarsi trasportare dalla pagina che legge, incalzato dalle domande, dai pensieri, dalle proprie avventure, ma allo stesso tempo impara a staccarsi, a fare finta di essere un altro, a mettersi il velo insieme all’autore, che al momento giusto non racconterà più le tue avventure, le avventure del Tu anfibio e universale di cui si è detto, ma parlerà di sé, passerà a raccontare le sue avventure.

È in questo passaggio che il libro raggiunge allo stesso tempo il massimo di intensità e di ambiguità, mescolando generi del discorso e statuti di finzione, e così duplicando la forza di verità del proprio discorso: tanto la verità del racconto, che gioca sulla duplice identificazione del lettore col personaggio narrato, per l’appunto Tu che leggi, quanto la verità del saggio, che gioca invece sull’identificazione della voce che parla con l’esperienza dell’autore, attivano l’attenzione del lettore, anch’egli costretto a mobilitasi, a decidere quando togliersi o mettersi il velo, quando credere oppure no, a decidere quale significato dare a quelle verità. Un libro che è già di per sé cammino.

Un cammino in cui si scopre che il rimedio al tempo asfittico in cui molti di noi sentono di vivere, chiusi nella speciale solitudine di individui sufficienti a se stessi, incapaci di negoziare un millimetro della propria libertà personale neppure con la propria ombra, egoisti di rituali privi di senso, esiste; un rimedio che esiste innanzitutto nella speranza stessa di immaginarlo, di sognarlo insieme agli altri che si mettono in cammino, il luogo dove si scopre il continuo capovolgimento, appunto l’allegria e la paura, l’arroganza e l’umiltà, dove si scopre che non si potrà mai essere liberi se non condividendo con gli altri le gioie e i dolori che ci è dato e ci sarà dato di vivere. 

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