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Culture
Oriel Pozzoli: "Una legge in difesa dei poeti? Prima salviamo i lettori"

Di Oriel Pozzoli

Di poesia non si vive. “Ci vorrebbe una legge apposta per salvare la poesia, non è giusto che sia esclusa solo perché non sta nella legge del mercato: spesso le cose buone sono fuori dal mercato”. Lo sottolinea con forza la poetessa Alba Donati nel suo intervento del 21 marzo.  Per la poesia l’UNESCO ha persino istituito una Giornata Mondiale, come per tutto ciò che è debole e meriterebbe più attenzione, interesse, cura. All’UNESCO pensano che l’espressione poetica abbia un ruolo importante nella promozione del dialogo interculturale, della comunicazione, della pace. Un’altra poetessa e critica letteraria, Mary Barbara Tolusso, osserva con arguzia (su ilpiccolo.blogautore.repubblica.it del 10 marzo scorso) che evidentemente gli esperti delle Nazioni Unite <<non conoscono i poeti. I poeti sono terribili, si fanno la guerra tra loro figuriamoci cosa gli frega della pace>>, ma ogni iniziativa è buona se serve a parlare di poesia, perché <<più la gente si sensibilizza alla poesia, meglio funzionerà il suo linguaggio, e quindi il suo cervello>>.

Questo è il punto. La poesia è necessaria a mantenere alto il livello di creatività della lingua e una lingua creativa è il prodotto di una mente, e di una cultura, in buona salute. La poesia spinge chi la scrive a forzare i confini dei significati, a produrne continuamente di nuovi, a lavorare sui legami inediti tra le parole, a sentirne il suono con orecchio tenacemente allenato. Chi scrive versi ingaggia una battaglia con il linguaggio sapendo che tante volte la perderà e dovrà ricominciare dal silenzio, consumare le ore nel sostituire un nome con un altro nome e spesso rassegnarsi a non dire, piuttosto che dire in modo approssimativo, sciatto, impreciso. Piuttosto che ricorrere al <<poetichese>> d’accatto, all’armamentario retorico di facile reperibilità. Fin troppo reperibile oggi: quando la facilità, le citazioni, le trovate verbali diventano <<virali>>, e forse ci siamo dimenticati che il primo senso di virus è <<veleno>>… La poesia è una passione, certo, ma è una passione che costa cara: in tempo, concentrazione, fatica, solitudine. È per gente che ama il rischio e, forse, gode anche della propria fragilità.

Insomma, un atto politico che difenda la poesia, sì, ma anche, nel complesso, una politica culturale che promuova la lettura della poesia, prima della scrittura. Che salvi il lettore e la qualità della poesia, prima di salvare il poeta. Che incoraggi e protegga lo studio, l’analisi, la critica della parola poetica, insieme alla pubblicazione dei libri di poesia. Si può fare nella scuola, per esempio, attraverso una educazione alla poesia che faccia crescere non solo il gusto del testo poetico, ma anche la comprensione della sua specificità e delle sue tecniche. Sin dall’inizio: ai bambini piace scoprire come funzionano le cose e anche una poesia può essere proposta come un oggetto di parole, che si anima e sortisce effetti solo se obbedisce a certe regole, o le infrange con arte. Occorrono insegnanti preparati, anzi preparatissimi, insegnanti che abbiano a loro volta imparato a leggere la poesia e che ne siano davvero esperti.  

Pretendiamo che la qualità della poesia sia protetta e valorizzata dal critico letterario,  quando non rinuncia al suo mestiere e usa con onestà e serietà il suo setaccio per distinguere, spiegare, portare alla luce ciò che merita di essere visibile, argomentando le ragioni delle sue scelte.  È bello, infine, che si educhi alla poesia nei luoghi di incontro pubblico, come è successo recentemente a Milano, per esempio, negli appuntamenti curati da Marco Corsi per Spazio Poesia (presso il Laboratorio Formentini per l’Editoria, nel cuore di Brera): poeti che leggono poeti – Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Mario Santagostini, Patrizia Valduga - ovvero alcune delle voci più significative del panorama letterario contemporaneo, che rileggono e interpretano i classici della poesia del Novecento, invitando il pubblico nel laboratorio degli autori, a contatto con le loro letture e la loro poetica.  Tra il pubblico, numerosi i poeti: la vera rivoluzione sarebbe una platea di soli lettori, esigenti e accaniti. Di sicuro non si può fare soltanto per legge.

 

 

 

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