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Economia
Aspi, il rischio dei fondi stranieri: replica del modus operandi dei Benetton

Ora che la strada del forte ridimensionamento dei Benetton nell’azionariato di Autostrade sembra tracciata e pare l’unica vera opzione per il cambio di rotta, occorrerà pensare da subito a chi potrà prendere il testimone come socio forte. Scontato di fatto l’ingresso come pivot del fondo F2i che di fatto porta con sé non solo competenze ma un parterre di investitori istituzionali, e un eventuale chip di Cassa Depositi e Prestiti, si tratta di capire chi soprattutto tra i grandi fondi internazionali sta studiando il dossier. 

Tra questi risulta una vecchia conoscenza del mercato italiano. La grande conglomerata australiana di Macquerie, attiva in giro per il mondo e presente da sempre nel business delle infrastrutture. Macquerie avrebbe, come altri grandi fondi stranieri, avuto acceso alla data room

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Il fondo non è affatto nuovo all’Italia. Nel 2003 comprò per 480 milioni di euro l’Aeroporto Di Roma. Si trattava di "un investimento di lungo periodo" dichiarò allora il Fondo. Quattro anni dopo, Macquarie rivendette la partecipazione al triplo del valore, con un guadagno di oltre 800 milioni. Tra l’altro, fu proprio Benetton, con Gemina, a staccare il generoso assegno e ad accompagnare all’uscita gli australiani. Macquarie era in dissenso sul piano degli investimenti. L’approccio di Macquarie (forte distribuzione di cassa e pochi investimenti) è visibile anche negli investimenti fatti in società autostradali in giro per il mondo. 

Fece scalpore il fallimento nel 2014 della Indiana Toll Road, comprata da Macquarie dallo Stato dell'Indiana nel 2006 per 3,8 miliardi di dollari (Macquarie in realtà tirò fuori dalle sue tasche solo un decimo della cifra, il resto fu finanziato da banche). Dopo 8 anni, la Indiana Toll Road aveva accumulato 5,8 miliardi di debito e fu lasciata fallire.

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Anche un’altra iniziativa autostradale acquistata da Macquire, la South Bay Express, fallì, nel 2010. Naturalmente non tutte le iniziative autostradali del fondo hanno avuto cattivo esito: per esempio la francese APRR produce moltissima cassa che viene distribuita agli investitori di Macquarie sotto forma di dividendi. Del resto l’approccio è tipico di un fondo a leva.

Ci si indebita, si entra nel capitale della società infrastrutturale e poi si rientra dall’investimento pretendendo grandi erogazioni di dividendi. Più che un approccio strategico e di lungo periodo, un approccio a breve termine, teso solo alla  migliore remunerazione del capitale (preso tra l’altro a debito). 

Se così è, e vale non solo per Macquerie ma per tutti i grandi fondi di private equity del mondo, allora si replicherebbe per Autostrade lo schema ventennale dei Benetton. 

Tanto debito, investimenti tenuti al lumicino, gran parte dei flussi di cassa tesi a restituire agli azionisti cedole molto ricche anno su anno, a tutto discapito della liquidità della società. Su questo tema la partita diventa decisiva. Numeri alla mano si può dimostrare che anche con redditività dimezzata; investimenti adeguati e minori flussi di dividendi, il business delle Autostrade resta un affare molto ricco a prescindere.

Per i soci forti sarà come avere in tasca un bond di lungo periodo con rendimenti sopra la media dei titoli pubblici. Non certo una Ferrari di Borsa, ma un asset dal rendimento garantito e magari con più investimenti anche più sicuro e meno costoso per i suoi utenti.

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