Sul mercato arriva una nuova tipologia di titoli: le Azioni Sviluppo
Di Filippo Astone
Gli investitori in Borsa stanno drizzando le antenne. Da pochi giorni è giunta sui mercati azionari una nuova tipologia di titoli: le Azioni Sviluppo. A metà maggio del 2014 c’è stato infatti l’aumento di capitale di Isagro, una società di agrofarmaci diretta da Giorgio Basile (anche principale azionista) che per la prima volta le ha emesse. L’aumento di capitale era fino a un controvalore massimo di 29 milioni di euro: 16 sono stati investiti dal sistema di controllo dell’azienda e 13 dal mercato. L’operazione, condotta attraverso l’emissione di pacchetti inscindibili di nuove Azioni Ordinarie e di Azioni Sviluppo, è stata un successo: l’intero ammontare è stato sottoscritto. Non è poco, di questi tempi. A oggi, di Isagro sono in circolazione 47 milioni di Ordinarie e 24 milioni di Sviluppo.
Tutto ciò dovrebbe servire soprattutto a finanziare – grazie al patrimonio dell’azienda invece che al debito - i programmi di crescita di Isagro, specializzata in agrofarmaci e intenzionata a investire quasi 60 milioni di euro in nuovi prodotti, e soprattutto in un nuovo fungicida ad ampio spettro, con potenziale commerciale mondiale, che sarà lanciato nel 2020.
Ma che cosa sono le Azioni Sviluppo? Si tratta del frutto di un progetto del 2007 condotto congiuntamente da Assolombarda, Borsa Italiana, Mediobanca, Studio Bonelli Erede Pappalardo. L’idea fa leva sulla riforma del diritto societario del 2003, che ha notevolmente ampliato la possibilità di emettere azioni diverse da quelle ordinarie, e consente di modulare i diritti amministrativi e patrimoniali in funzione delle aspettative del mercato. L’anima del progetto è stato proprio Giorgio Basile, che all’epoca, oltre a occuparsi di Isagro, era componente del comitato di presidenza di Assolombarda. Poi è arrivata la crisi economica, e le Azioni Sviluppo sono rimaste nel cassetto, vista l’oggettiva difficoltà nel collocare in Borsa qualcosa. Ma nel 2014, lo stesso Basile, desideroso di finanziare un progetto di crescita della sua società ha deciso di vararne la prima emissione, premiata dal successo. Ora, si tratta di vedere se altre società imiteranno Isagro e le emetteranno.

In pratica, le Azioni Sviluppo servono a finanziare progetti di crescita evitando però che l’azionista di controllo si diluisca, e quindi perda il controllo stesso. Finora l’unico modo per finanziare lo sviluppo mantenendo il controllo è stato di usare la leva del debito (bancario, oppure bond) che però è costosa e rischiosa. Con le Sviluppo si vuole agire sul patrimonio. Il target ideale (ma non certo l’unico) di questo strumento finanziario sono le medie aziende famigliari italiane – magari quelle che si identificano con il famoso modello del Quarto Capitalismo, o che vi sono vicine – e che per restare sulla cresta dell’onda devono andare all’estero, fare acquisizioni, sviluppare nuovi brevetti. Tutte cose che costano molto. E che gran parte delle aziende famigliari fanno fatica a finanziare con le loro sole forze. Proprio per questo motivo, poi non crescono.
Ma entriamo meglio nel merito dello strumento. In modo simile alle Azioni Risparmio, le Sviluppo non danno diritto di voto in assemblea e, in caso di dividendo, prevedono una cedola maggiore delle ordinarie. Le Sviluppo si differenziano dalle Risparmio perché, in caso di opa o di perdita del controllo da parte del maggior azionista, si tramutano automaticamente in ordinarie e diventano anch’esse, obbligatoriamente, oggetto di opa. Insomma, la conversione in ordinarie si verifica nel momento in cui diventa economicamente rilevante la distinzione tra azioni ordinarie e azioni speciali. «I possibili emittenti di Azioni Sviluppo sono tre: società già quotate in Borsa, che così possono fare aumenti di capitale più facilmente, perché senza effetti diluitivi sui titoli già quotati (le Azioni Sviluppo sono emettibili in un rapporto massimo di 1:1 rispetto alle ordinarie); società prossime alla quotazione (anche con contestuale emissione di azioni ordinarie) in modo da poter incrementare ulteriormente la raccolta; società non quotate che intendono rimanere tali, ma che possono quotare le sole Sviluppo, oppure far entrare il private equity nell’azionariato attraverso le Sviluppo», spiega Basile.
Vantaggi per imprenditore & investitori. Teoricamente, grazie al sistema delle Azioni Sviluppo, ci dovrebbero essere più vantaggi per tutti coloro che investono le loro energie sui progetti di crescita dell’azienda. Vantaggi per l’imprenditore, il quale immette risorse fresche nella sua impresa, da utilizzare per progetti di crescita. Inoltre, in questo modo, l’azienda non viene ulteriormente indebitata, e quindi non deve sobbarcarsi i costi della leva finanziaria. In pratica, si viene a disporre di un terzo canale di risorse, aggiuntive rispetto al debito bancario o alla quotazione del capitale ordinario. Vantaggi per gli investitori, i quali si assicurano dividendi maggiori (quando i dividendi sono previsti, cosa che
non è automaticamente garantita in tutti gli esecizi) e, comunque, gli stessi diritti dei titolari di ordinarie in caso di Opa.
Chi controlla le aziende? Ma vale la pena di mantenere sempre il controllo? «Le aziende italiane di media dimensione hanno la crescente esigenza di mantenere e rafforzare la loro posizione in un mercato sempre più globalizzato. Ciò implica spesso una necessità di nuovi mezzi finanziari nei casi – molto frequenti – in cui la gestione ordinaria non assicura una provvista adeguata di tali mezzi e il ricorso al finanziamento bancario è praticabile solo in misura limitata. Occorre, quindi, che le imprese agiscano per aumentare il livello della loro patrimonializzazione. Un dato di fatto che in molti casi pone all’imprenditore il tema di come raggiungere l’obiettivo senza giungere alla necessità di perdere il controllo della propria azienda, che quasi sempre rappresenta anche una ragione di vita», dice ancora Giorgio Basile, che pone un quesito: «La volontà di mantenere il controllo della propria impresa è un valore o un disvalore?» Alcuni ritengono che si tratti di un valore negativo che impedisce la crescita dell’impresa portandola a uno stato di asfissia. Se si vanno a vedere i disastri provocati negli ultimi vent’anni in Italia dal capitalismo di relazione, dal capitalismo dei Salotti Buoni, delle grandi famiglie squattrinate ma fermamente intenzionate a controllare aziende più grandi di loro, si è tentati di confermare questa teoria. In realtà, un’osservazione più approfondita dovrebbe far fare delle distinzioni. Infatti, nell’economia italiana degli ultimi vent’anni, le famiglie controllanti hanno combinato perlopiù disastri nel grande capitalismo, mentre hanno fatto la fortuna del Quarto Capitalismo delle medie aziende, che sono diventate l’unica speranza di riscossa industriale e manifatturiera dell’Italia.
Basile: il controllo della famiglia fondatrice crea valore economico. «Che il controllo abbia conseguenze negative è certamente possibile che accada, qualche volta», sostiene Giorgio Basile, «ma, nella gran maggioranza dei casi, la volontà dell’imprenditore di portare avanti il progetto industriale a cui crede è espres- sione di fisiologia e non di patologia ed è in realtà un “valore” da riconoscere e apprezzare e non, invece, da demonizzare. Occorre, tuttavia, che l’imprenditore determinato a dare continuità al suo impegno sappia fare ricorso a strumenti che, permettendogli il mantenimento del controllo della propria impresa, ne assicurino il rafforzamento della struttura patrimoniale, in modo da alimentarne la crescita».
Per Basile, l’assenza di contendibilità, se il soggetto controllante è credibile e garante di un progetto industriale valido, non è un problema. Basta insomma con il luogo comune per cui un’azienda quotata in Borsa è interessante solo se contendibile. «In primo luogo, quando c’è un soggetto controllante – e ciò nelle società italiane capita spesso – il diritto di voto viene raramente eserci- tato dalle minoranze delle società. Basti vedere il basso numero di persone che si presenta in assemblea a votare. Nell’esperienza di Isagro parliamo di valori inferiori all’1%», sostiene Basile. «Per quanto riguarda l’interesse del mercato, il valore del titolo è in funzione diretta dei risultati gestionali.
E adesso? Il futuro di Isagro. Dopo il successo di un aumento di capitale del genere, in tempi di recessione economica, gli elementi per alzare in alto i calici ed essere soddisfatti ci sono tutti. «In realtà siamo solo a metà dell’opera», dice Basile. «Due anni fa io e i miei colleghi e collaboratori ci siamo proposti di far svoltare la nostra azienda, proiettandola nel futuro. Pertanto, ci siamo dati tre obiettivi. Il primo era stringere una partnership industriale importante, con un soggetto tale da poter crescere insieme a noi senza per questo comprarci o cancellarci, ma anzi valorizzando le nostre caratteristiche peculiari. Lo abbiamo raggiunto attraverso l’alleanza con la società americana Gowan. Il secondo era l’aumento di capitale, appena chiuso con successo e finalizzato a raccogliere le risorse per lo sviluppo di nuovi prodotti, nei quali investiremo circa 60 milioni di euro nei prossimi anni. Il terzo, appena avviato, è una profonda svolta strategica e gestionale. Vogliamo continuare a svolgere attività di ricerca innovativa in autonomia, ma anche sviluppare nuove molecole e nuovi prodotti in partnership con altri.». Di che cosa si tratta? «E’ il Licensing, cioè un un modo nuovo di sfruttare il patrimonio intellettuale di Isagro che, pur investendo direttamente nella ricerca e sviluppo di nuove molecole, non ha una dimensione tale da operare direttamente in tutti i mercati in cui, potenzialmente, questo patrimonio intellettuale potrebbe dare origine a vendite. Per superare l’empasse, la nuova area di business Licensing si fonda sul concedere a terzi la licenza a sviluppare prodotti basati su principi attivi di proprietà di Isagro, dietro il riconoscimento di un pagamento upfront. Inoltre, Isagro punta a perfezionare con i licenziatari accordi di fornitura di medio/lungo termine per tali principi attivi, così aumentando le possibilità di estrarre valore dalle proprie invenzioni». Quali sono gli accordi in corso?
E' stato già firmato un importante accordo con la multinazionale giapponese Arysta, nel novembre del 2013. Arysta ha acquisito il diritto a utilizzare un principio attivo di proprietà di Isagro, il tetraconazolo, per sviluppare nuove miscele, riconoscendo a Isagro un pagamento di 10 milioni di Euro. In parallelo, Isagro e Arysta hanno firmato un contratto di fornitura quindecennale di Tetraconazolo. In questo modo, non solo Isagro ha potuto beneficiare del pagamento upfront, ma ha anche fidelizzato un cliente importante nel lungo termine, assicurandosi volumi aggiuntivi di vendite altrimenti non possibili».
Grazie a questi tre passaggi, l’ultimo piano industriale di Isagro si propone di passare dai 140 milioni di ricavi del 2013 ad almeno 232 milioni nel 2018. Nello stesso intervallo di tempo, l’ebitda dovrebbe più che raddoppiare, passando da 15 a 31 milioni.