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Economia
"Banca Etruria di corsa verso l'abisso". Così il patrimonio è stata "spolpato"

Una "paradossale corsa verso l’abisso", innescata da una mala gestio in cui gli "episodi si sono perpetrati e rinnovati" e "da una serie incredibile di erogazioni di favore in palese conflitto di interessi". Descrive così il liquidatore Giuseppe Santoni, nella sua citazione davanti al Tribunale civile di Roma, la vicenda di Banca Etruria, istituto messo in risoluzione da un decreto del governo nel 2015. Istituto che "è crollato", risultando totalmente “spolpato” nella sua consistenza patrimoniale, sotto il peso di errori madornali degli amministratori. Il durissimo atto di accusa nei confronti di manager e componenti dei Cda che si sono succeduti dal 2010 è riportato dal Corriere della Sera e quantifica il danno finale in 520 milioni di euro, attribuendo alla società di revisione PriceWaterhouseCoopers la responsabilità per 112 milioni di euro dovuti "all’omesso controllo contabile in relazione agli illeciti commessi dai componenti degli organi aziendali".

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Nell’elenco dei manager chiamati davanti al giudice civile di Roma ci sono i revisori dei conti, i direttori generali e soprattutto i componenti dei consigli degli ultimi tre consigli di amministrazione, compreso l’ultimo guidato da Lorenzo Rosi che aveva come vicepresidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre della sottosegretaria Maria Elena. Nell’atto depositato lunedì scorso, ricostruisce ancora il Corriere, si parla di una "incredibile serie di erogazioni di favore e in palese conflitto di interessi, ovvero dissennate e inutili".

Secondo Santoni, "non si sa bene se maggiore responsabilità vada attribuita a chi dolosamente e pervicacemente ha curato, a scapito della società e dei creditori, i personali interessi propri o di propri sodali in palese conflitto con il ruolo gestorio rivestito, ovvero a chi ha con colpa gravissima trasgredito le più basilari regole di buona amministrazione di una banca, ovvero a chi ha altrettanto colposamente assistito con inerte disinteresse allo scempio che avveniva sotto i suoi occhi".

Per questo evidenzia come "la paradossale mala gestio che caratterizzava la conduzione della Banca è stata tempestivamente posta in evidenza nel corso di tre ispezioni da parte di Bankitalia tra gennaio 2010 e febbraio 2015 con la conseguente irrogazione di pesanti provvedimenti sanzionatori" eppure "la situazione si è aggravata perché non solo nessuno vi ha posto rimedio, ma questi episodi di mala gestio si sono perpetrati e rinnovati". Secondo il liquidatore, infine, è stata portata avanti "una 'strategia' basata su rimedi estemporanei e di dubbia legittimità con il frettoloso 'piazzamento' delle note obbligazioni subordinate ai risparmiatori che sono state successivamente e necessariamente azzerate". Santoni infine ritiene grave la perdita causata dall’ultimo consiglio di amministrazione — guidato da Rosi, Berni e Boschi — per la scelta di non seguire le indicazioni degli ispettori di Palazzo Koch e procedere "all’aggregazione con un partner strategico".

In particolare definisce il rifiuto all’offerta di Banca Popolare di Vicenza una "decisione dolosa o gravemente colposa» perché ha provocato un mancato introito Riferimento esplicito al provvedimento di messa in liquidazione della banca con il decreto del governo del novembre 2015 che ha provocato la perdita dei risparmi di migliaia di cittadini. Con il caso eclatante del suicidio del pensionato Luigi D’Angelo. Se il danno derivato "dalla dissennata gestione dei crediti" viene quantificato in oltre 112 milioni di euro, Santoni ritiene ben più grave la perdita causata dall’ultimo consiglio di amministrazione — guidato da Rosi, Berni e Boschi — per la scelta di non seguire le indicazioni degli ispettori di Palazzo Koch e procedere "all’aggregazione con un partner strategico". In particolare definisce il rifiuto all’offerta di Banca Popolare di Vicenza una "decisione dolosa o gravemente colposa" perché ha provocato un mancato introito per oltre 212 milioni di euro.

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