L'Italia è poco business friendly
Superati anche da Ruanda e Armenia
Di cosa ha bisogno l'Italia per ripartire? Di riforme strutturali, continuano a dire la Bce di Mario Draghi non meno che la Commissione Ue (prima guidata da Jose Barroso, ora da Jean-Claude Juncker, senza che la musica sia cambiata). Certo, ci sono riforme e riforme e magari prima di andare a toccare per l'ennesima volta sanità e pensioni sarebbe il caso di chiedersi come e perché anche banche e aziende italiane abbiano potuto stringere accordi più o meno "segreti" col Lussemburgo per ridurre al minimo o azzerare il reddito imponibile, come sta emergendo in queste ore dall'inchiesta LuxLeaks.
Ma che in Italia sia sempre meno facile fare impresa è purtroppo una realtà alla quale non ci si può sottrarre con qualche slide o slogan propagandistici: occorre affrontare i problemi, che sono noti da anni, con soluzioni anch'esse note da tempo discutere più a lungo le quali è solo un modo per rinviare la resa dei conti con i grandi e piccoli gruppi d'interesse che in Italia in questi decenni si sono ritagliati ciascuno una propria "rendita" il cui peso complessivo, ormai, non è più sostenibile.
Prendiamo ad esempio l'annuale indagine della Banca Mondiale "Doing Business" (quest'anno significativamente intitolata "andare oltre all'efficienza"). L'Italia perde ancora terreno, passando dal 54 al 56esimo posto su 189 paesi di cui si compone la classifica. Stanno davanti al "bel paese" tutti i maggiori partner europei ed extra europei: gli Stati Uniti restano il settimo miglior paese al mondo in cui avviare un'attività, la Gran Bretagna sale dalla nona all'ottava posizione, la Germania scivola dal 13esimo al 14esimo posto, il Giappone continua a perdere colpi e passa dalla 27esima alla 29esima posizione, la Francia è ancora più in basso, in 31esima posizione (ma recupera 2 posizioni dall'anno precedente), la Spagna scivola dalla 32esima alla 33esima posizione.