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A pensar male si fa peccato ma a volte ci si becca: dei 280 miliardi di euro che la Ue ha erogato in aiuti ai paesi membri in difficoltà, l’Italia ha contribuito con 43 miliardi di euro, cifra destinata, come ha ricordato stamane il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenendo a un convegno del ministero degli Esteri, a salire a 60 miliardi di euro entro il 2014.

Soldi preziosi, che in qualche caso avrebbero potuto aiutare il sistema creditizio nazionale ad affrontare meglio la crisi, tanto più che, come ha ricordato lo stesso Visco, dalle comparazioni internazionali le banche tricolori sembrerebbero “avere un più elevato Npl ratio (ossia una maggiore percentuale di crediti problematici rispetto ai prestiti totali, ndr) ed un più basso coverage ratio” (ossia una minore percentuale di riserve a copertura degli stessi crediti problematici), “ma è chiaro che il raffronto è viziato da disparità nelle pratiche di contabilità e supervisione, di cui si deve tener conto per ottenere una valutazione corretta”.

Di più: “Se le banche italiane usassero le stesse definizioni di alcune banche internazionali, il loro stock di crediti problematici si ridurrebbe di un terzo, riducendo significativamente il loro Npl ratio ed aumentando il loro coverage ratio”, mentre anche la salita osservata di recente nelle sofferenze “risulterebbe meno accentuata”. Insomma, l’essere stati “generosi” sul fronte della solidarietà europea non ha per ora portato benefici specifici alle banche italiane che “generalmente hanno una leva finanziaria inferiore a quella dei loro competitor internazionali, in parte per il minor volume di operazioni in derivati”.

Non di meno la vigilanza della Banca d’Italia non si è allentata ed “ogni carenza di capitali che dovesse emergere verrà affrontata attraverso opportune azioni attraverso il perimetro di decisioni delle banche e col ricorso al mercato”. Un richiamo che farà fischiare le orecchie a diversi banchieri, anche perché Visco ha precisato: se finora le banche italiane hanno mostrato una “buona capacità di resistenza” alla crisi, “serie difficoltà” colpiscono ormai “un gruppo di istituti di medie e piccole dimensioni”, colpiti in modo “particolarmente duro” dalla prolungata recessione a causa della “minore diversificazione dei rischi e dei ricavi”, di una “proprietà debole” e a strutture di governo societario che possono aver complicato “il rafforzamento patrimoniale e l’adattamento dei modelli di business”.

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