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Economia
Borsa, i titoli che correranno con il governo Conte


Il nuovo governo Conte si è appena insediato e già iniziano a circolare le prime ipotesi sul suo operato economico, come la possibilità che venga lasciato scattare l’aumento dell’Iva dal 22% al 25% dal primo gennaio, in cambio dell’introduzione di una “flat tax” compatibile sia col dettato costituzionale della progressività delle imposte (cosa possibile tramite detrazioni) sia con una qualche forma di “reddito di cittadinanza” inteso come “minimo vitale” per le famiglie che vivono in condizioni disagiate.

Nel complesso, come hanno già notato i commentatori più attenti, una simile impostazione di politica economica ricorderebbe la prosposta “25 per tutti” con cui l’Istituto Bruno Leoni proponeva di portare al 25% sia l’aliquota (unica) dell’Irpef sia quella dell’Iva, eliminando l’Imu e sostituendo la Tasi con una nuova imposta sui servizi urbani da legare alla qualità dei servizi offerti dai comuni. Uno scenario che, sottolineava l’Istituto Bruno Leoni, avrebbe fatto abbassare la pressione fiscale complessiva dal 43% al 39%, con evidenti vantaggi per molte aziende.

Se dunque questo fosse lo scenario di riferimento dell’operato del nuovo governo, quali titoli sarebbero da privilegiare in ottica d’investimento? Per prima cosa, come ha ampiamente dimostrato la forte volatilità della settimana appena passata, avere un portafoglio diversificato resta la prima condizione che qualsiasi investitore deve rispettare. Questo significa in particolare avere investimenti fuori dall’area euro, preferibilmente puntando su titoli e settori in grado di difendersi meglio da eventuali future crisi, ossia titoli di produttori di beni di largo consumo e altri “anticiclici”.

Sempre in ottica di diversificazione, meglio poi investire anche in titoli denominati in dollari e in yen, valute forti che possono compensare eventuali scrossoni dell’euro. In entrambi i casi si può optare per dei fondi d’investimento, da preferire agli Etf perché in caso di forte volatilità dei mercati avere un prodotto “discrezionale” (ossia gestito da un investitore professionista che può variare il portafoglio del fondo) è preferibile ad avere un prodotto indicizzato (il cui portafoglio deve riflettere un indice e non può discostarsi dallo stesso).

Anche la componente obbligazionaria sarà meglio gestirla attraverso uno o più fondi obbligazionari globali, almeno in parte denominati in dollari Usa. Del resto ormai un bond a 6 mesi in dollari rende  il 2,09% (contro l’1,217% dei Bot di durata analoga), uno a 12 mesi il 2,26% mentre i T-bond a 10 anni pagano il 2,90% all’anno (in Italia i Bot a 12 mesi sono stati collocati a metà maggio ad un tasso pari a -0,361%, mentre i Btp decennali dopo le tensioni degli ultimi giorni offrono il 2,77%), nonostante la Federal Reserve stia proseguendo su un percorso di graduali rialzi dei tassi che la Bce deve ancora anche solo decidere quando partirà.

Per chi volesse poi approfittare del generalizzato calo delle valutazioni, già non eccessivamente “tirate” di Piazza Affari per investire direttamente in un portafoglio di titoli azionari italiani (cui anche per le considerazioni prima espresse non andrebbe destinato più di un 10%-20% del portafoglio totale), meglio evitare Fiat Chrysler Automobiles, che dopo la presentazione del piano industriale al 2022 ha visto scattare prese di profitto essendo state le linee generali dello stesso già ampiamente anticipate ed avendo Sergio Marchionne escluso per ora la creazione di un polo del lusso che secondo gli analisti avrebbe potuto far salire di almeno 4 miliardi la valutazione complessiva del gruppo (portando la capitalizzazione complessiva da 28 a 32 miliardi).

I titoli che analisti e broker preferiscono al momento sono quelli di gruppi come Moncler, Buzzi Unicem, Cnh Industrial, Ferrari e Pirelli, contraddistinti da business globali e bassa leva finanziaria. A questi nomi se ne possono aggiungere almeno un paio come Fila e Prysmian. Lasciatasi alle spalle una lunga diatriba tra i due soci di controllo, Massimo e Simona Candela, Fila ha infatti visto approvata l’acquisizione dell’americana Pacon Holding, operazione da 340 milioni di dollari che verrà portata a termine entro il 12 giugno e consentirà al produttore toscano di matite e colori di raddoppiare le vendite negli Usa, generando anche importanti sinergie di costo. Acquisizione in vista negli Usa anche per il gruppo guidato da Valerio Battista, che ha masso gli occhi su General Cable: in questo caso si tratta di un’operazione da 3 miliardi di dollari che dovrebeb essere conclusa entro luglio.

Rientrato (se mai c’è realmente stato) il rischio di una “Italexit” dall’eurozona, può infine essere interessante anche tornare a guardare al comparto finanziario, che molto ha sofferto negli ultimi giorni. Tra i titoli più interessanti c’è sicuramente Banco Bpm, che è stata pronta ad approfittare della ritrovata calma sui mercati per lanciare l’attesa cartolarizzazione di un portafoglio da 5,1 miliardi di euro di crediti deteriorati che si somma ai 4,5 miliardi già ceduti finora, lasciando da cedere ulteriori 3,5 miliardi. Il via libera al governo Conte è stato infine salutato dallo scattare di ricoperture significative anche su Banca Ifis, istituto specializzatosi nella gestione dei crediti deteriorati, un mercato che dovrebbe beneficiare delle prospettiva macroeconomiche favorevoli e della prevedibile nuova accelerazione della pulizia dei bilanci bancari ora che la calma sembra tornata sui mercati finanziari.

 

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