Economia
Cdp: autostrade, rete, pagamenti... La pericolosa china del gigantismo

Tutte le partite della Cassa che raccoglie il risparmio postale degli italiani
Terna, Ansaldo, Poste, Telecom, Eni, Leonardo: non è l’elenco della spesa di qualche tycoon d’oltreoceano, ma una piccolissima rappresentanza di aziende che hanno in comune un unico denominatore, Cdp. Tre lettere che gli italiani hanno imparato a conoscere rapidamente. Tre lettere che sono diventate protagoniste di ogni trattativa, di ogni vicissitudine del mondo economico e che oggi sono al centro del dibattito in modo sempre più continuo.
Eppure, non stiamo parlando di un nuovo player, di un soggetto affacciatosi recentemente, ma di una creatura italiana che esiste dal 1875 per gestire i 250 miliardi di euro del risparmio postale dei nostri concittadini, cui si sommano altri denari provenienti dalla raccolta obbligazionaria. Una valanga di soldi, appunto, che si concretizza in un bilancio floridissimo: nel 2019, 356 miliardi di raccolta e 2,7 di utile netto. Una gallina dalle uova d’oro per il Ministero dell’Economia, che detiene l’85% delle quote della Cassa guidata da Fabrizio Palermo. Il restante 15% è in mano a una pletora di fondazioni bancarie che possono avere al più il 2,57% delle azioni.
Dunque, perché tornare a parlare di Cdp nonostante abbia una discreta anzianità di servizio? Perché è ormai il deus ex machina dietro alla quasi totalità delle operazioni che si stanno verificando in Italia in questo momento. Ultima in ordine di tempo, quella tra Sia e Nexi per la creazione di un player europeo nel mondo dei pagamenti: a menare le danze, la costola di venture capital di Cdp.
Non solo: Autostrade per l’Italia, al centro di una querelle che non sembra trovare soluzione tra la Atlantia della famiglia Benetton e il governo è stata oggetto delle mire proprio della Cassa Depositi e Prestiti, che avrebbe dovuto costituire una newco per rilevare la partecipazione della famiglia trevigiana (circa l’88% della società) e quotarla in borsa dopo aver avuto l’appoggio di altri privati. Quando Enel ha deciso di abbandonare la partita di Open Fiber, che deteneva al 50% con Cassa Depositi e Prestiti, è stata proprio la holding guidata da Fabrizio Palermo a cercare la possibile fusione con Telecom per la creazione dell’operatore unico per la fibra. E di Tim, la Cdp possiede il 9,89%.
E, insomma, ogni qual volta c’è da trovare una soluzione a qualche partita economica, ecco che compare sullo sfondo la Cdp: Alitalia non trova compratori? Diamola alla Cassa. Uno schema che riporta alla vecchia e vecchissima politica da prima repubblica ma non solo. Una modalità d’interazione che fu appannaggio di un altro soggetto: l’Iri, fondato dal fascismo nel 1933 e divenuto alla fine degli anni ’90 il veicolo d’elezione per procedere alla quotazione dei campioni del capitalismo nostrano, dalla vendita del “nocciolino” di Telecom agli Agnelli fino alla quotazione in borsa di parte di Eni o dell’allora Finmeccanica. L’Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato visto prima come l’ancora di salvataggio e il dominus dell’intero sistema economico italiano. Poi è diventato un “carrozzone” capace di accumulare 5.182 miliardi di lire di perdite a fronte di 75.912 miliardi di fatturato nel 1992.
L’anno successivo era comunque il settimo conglomerato al mondo con un valore di 67 miliardi di dollari. Erano gli ultimi afflati dell’Italia grande protagonista dell’economia globale, sesta o settima nel “ranking”, quando ancora la Cina (e l’India) non erano altro che le fabbriche del mondo in cui delocalizzare a bassissimo costo.
Oggi queste condizioni, naturalmente, non ci sono più. Né in positivo né in negativo, ovviamente. Il Coronavirus ha riportato lo Stato al centro dell’economia e, con esso, il suo braccio armato, cioè la Cdp. Ma serve uno sforzo ciclopico perché la Cassa non torni a essere quello che fu l’Iri, cioè un gigante dai piedi d’argilla incapace di reggere alle temperie. Quello che preoccupa, però, è la “tuttologia” di Cassa Depositi e Prestiti, che entra in partite completamente diverse da loro, dal fondo da due miliardi per il turismo fino alla rete unica, passando per la decisione di trattare con Arcelor-Mittal per l’ex-Ilva. È vero che Cdp ha otto “bracci”, ognuno con una mission. Ma sembra altrettanto evidente che il gigantismo sia dilagante. Una china che potrebbe diventare pericolosissima.