Economia
Cdp Banca per gli investimenti? Il libro dei sogni di Di Maio. Ecco perché

Cdp ha investito quasi 26 mld in partecipazioni strategiche tra cui nelle reti gas, energia e fibra. Di Maio vorrebbe andare oltre, ma ci sono rischi e limiti
Per fare un esempio concreto CheBanca!, fondata da Mediobanca nel 2008, solo dopo sei anni (nell’esercizio 2015/2016) riuscì a chiudere il primo bilancio in utile, per 7,5 milioni, dopo aver bruciato oltre 300 milioni nei primi cinque anni di attività: quanti dovrebbe bruciarne l’istituto che sogna Luigi Di Maio e a chi sarebbero accollate le perdite?
C’è poi il piccolo ma non irrilevante problema dei limiti imposti dalla legge e dallo statuto di CdP, che prevedono che non possano essere effettuati investimenti in aziende in crisi o intervenire in ristrutturazioni societarie, ma “solo” investire in società che mostrino sostenibilità economico - finanziaria, da valutare sulla base di criteri di mercato, in presenza di un interesse pubblico. Finanziare startup innovative, ad esempio, potrebbe non essere tecnicamente possibile, non fosse altro perché le startup operano tipicamente in perdita nei loro primi anni di vita e presentano una elevata mortalità.
Secondo il rapporto Cerved Pmi 2017, del resto, “Il 17,7% delle società che hanno investito di più in innovazione hanno aperto nel periodo 2007-15 un fallimento o una procedura concorsuale, contro una percentuale dell’11,3% osservata nel campione totale”. L’idea poi che Cdp, magicamente trasformata in “banca d’investimenti pubblica” possa far decollare gli investimenti in infrastrutture “strategiche” può sembrare suadente, specialmente in un paese come l’Italia che sconta un pesante gap infrastrutturale con altri paesi europei.
Ma nasconde un pericolo concreto, quello dell’annullamento della concorrenza nel settore delle reti, ipotesi che non dispiace (anzi) alla politica ma rischia di non portare alcun reale beneficio agli utenti finali. Ultimo ma non meno importante dettaglio: Cdp ha mobilitato, dati di bilancio alla mano, 92 miliardi di investimenti nell’ultimo triennio (+17% rispetto al triennio precedente), di cui 18,4 miliardi dedicati alle Pmi.
Ora: sempre secondo il rapporto Cerved Pmi 2017, proprio “il processo di selezione darwiniana innescato dalla crisi del 2008, caratterizzato dall’uscita in massa dal mercato delle aziende con profili fragili già prima dell’inizio della recessione” ha poi consentito alla Pmi italiane di migliorare decisamente la propria solidità strutturale, ossia la capacità di generare flussi di cassa sufficienti a rimborsare i debiti contratti.
Se questo processo, per via di un accesso al credito “agevolato” come sogna Luigi Di Maio, non si fosse innescato, oggi ci ritroveremmo con aziende più indebitate, più deboli e probabilmente più crediti deteriorati di quanti già non gravino sul sistema economico tricolore. A meno di non indicare come evitare di correre questo rischio, l’idea di trasformare CdP in una banca che presta il risparmio postale italiano ad attività per definizione “a rischio” non sembra poter garantire sufficientemente risparmiatori e contribuenti italiani.
Luca Spoldi