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Economia
Cdp, l'incognita valore di Aspi.Occhio agli scivoloni Tim, Trevi e Fincantieri

Cassa depositi e prestiti (Cdp) ha, da statuto, la possibilità di assumere “partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale” purché “risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività”. Da questo non si scappa, dato che il gruppo guidato da Fabrizio Palermo è anche l’emittente dei Buoni Fruttiferi e dei Libretti di risparmio postale e dunque è il gestore del risparmio che gli italiani hanno affidato a Poste Italiane, in tutto 539 miliardi a fine 2019.

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Nel quadro di una reiterata narrazione che vede nel riuscire a “convincere” il risparmio privato italiano a investire in titoli del debito pubblico (da cui l’accento sulle emissioni di Btp Italia e Btp Futura) piuttosto che in titoli esteri e in strumenti collegati all’economia “reale” anziché puramente “finanziari”, l’idea di far crescere il patrimonio di partecipazioni di Cdp così da indirettamente “convogliare” il risparmio privato in asset strategici o presunti tali appare del tutto coerente e infatti Cdp ha già visto crescere di molto le sue partecipazioni e ulteriormente potrebbe farlo in futuro.

Attraverso Cdp Equity sono già stati investiti, tra l’altro: 250 milioni per il 18,7% di Webuild, che ad oggi capitalizza circa 1.300 milioni in borsa (cui corrisponde un valore di circa 245 milioni per la partecipazione di Cdp); 359 milioni per il 50% di Open Fiber (società non quotata, che piace a fondi infrastrutturali come Macquarie e il cui 100% potrebbe valere dai 3 ai 6 miliardi di euro secondo alcune banche d’affari); 101 milioni per il 25,7% di Trevi, che in borsa vale poco meno di 350 milioni (cui corrisponde un valore di scarsi 90 milioni per la partecipazione di Cdp) e che potrebbe rientrare nel Progetto Italia promosso da WeBuild.

A Cdp Reti (controllata da Cdp al 5,1%) fanno invece capo il 31,04% di Snam (costato 3,517 miliardi di euro, oggi la partecipazione vale 4,672 miliardi), il 26,04% di Italgas (scorporata nel 2016 da Snam, oggi la partecipazione vale 1.075 milioni) e il 29,85% di Terna (ceduta da Enel a Cdp per 1.500 milioni di euro nel 2005, vale oggi 3.735 milioni).

A Cdp Industria fanno invece capo le partecipazioni in Saipem (12,55% rilevato attraverso il Fondo Strategico Italiano da Eni nel 2015 per 463 milioni, oggi vale 544 milioni) e il 71,64% di Fincantieri, originariamente controllata al 100% tramite Fintecna e poi parzialmente privatizzata nel 2014 con un’Ipo avvenuta a 0,78 euro per azione (a fronte degli 0,629 euro attuali), che in borsa oggi vale 754 milioni di euro, con una “minusvalenza latente” di circa 76 milioni rispetto ai valori dell’Ipo.

Cdp controlla poi direttamente il 25,76% di Eni (che vale 8,243 miliardi agli attuali valori di borsa), il 9,89% di Telecom Italia (vale 780 milioni, a fronte di un investimento di circa 1.050 milioni) e il 35% di Poste Italiane (ottenuto tramite un aumento di capitale riservato da 2,93 miliardi, vale oggi circa 3,57 miliardi). Lo “Stato imprenditore” in questi anni è riuscito complessivamente a investire con profitto i soldi dei contribuenti/risparmiatori, salvo qualche “scivolone” (su Tim, Fincantieri e Trevi). Il dubbio è se continuerà a riuscirci in futuro.

Posto che il rispetto dello statuto dovrebbe evitare un coinvolgimento diretto di Cdp in “salvataggi” dal dubbio esito economico come nei casi di Alitalia e Ilva, per quanto riguarda l’investimento in Autostrade per l’Italia, come segnalano oggi gli analisti di Banca Imi, due sono i punti cruciali: il nuovo sistema delle tariffe, che influirebbe sul valore di Aspi una volta quotata, e le potenziali responsabilità a carico di Aspi legate alle cause di terze parti per il crollo del Ponte Morandi. Dal negoziato che si aprirà il 27 luglio tra Atlantia e Cdp e che secondo alcuni potrebbe durare almeno un anno, con buona pace dell’esigenza elettorale degli esponenti grillini di “buttare fuori” i Benetton da Aspi a stretto giro di posta, dipenderà la valutazione dell’asset e quindi l’ammontare dell’aumento riservato attraverso il quale Cdp entrerà in Aspi come nuovo socio di maggioranza col 51%.

Al momento si parla di un controvalore tra i 3 e i 4 miliardi, cifre in linea coi 7 miliardi previsti dall’art. 35 del DL “Milleproroghe” come penale che lo stato dovrebbe pagare ad Atlantia in caso di revoca anticipata delle concessioni autostradali (in scadenza nel 2038). Sul mercato tuttavia sono circolate in questi mesi valutazioni molto diverse, tra i 9 e i 12 miliardi di euro anche scontando il venir meno delle “maxi-penali” da 23 miliardi o più previste prima della contestata modifica normativa. Trattandosi di soldi privati gestiti da una società pubblica (Cdp), sarà il caso di prestare molta attenzione sia al prezzo che alla fine verrà concordato, sia alle nuove tariffe (che seguiranno il modello “RAB-based” proposto dall’authority di settore), per evitare che l’investimento stesso si riveli un bel “regalo d’addio” per la famiglia di Ponzano Veneto e un “pacco” per gli investitori subentranti.

 

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