Contratti a termine, Renzi sbaglia Di Cristiano Cominotto
Come ormai noto, uno dei principali obiettivi del Governo Renzi è stato fin da subito quello di riformare il mercato del lavoro italiano cercando, da un lato di garantire una maggiore flessibilità dello stesso e dall'altro, di eliminare molte delle assunzioni precarie oggi esistenti. Tra le innovazioni normative che sembrano perseguire tali obiettivi compare il "contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio", previsto all'interno dell'ormai noto "Jobs Act".
Tale forma contrattuale permetterebbe al datore di lavoro di licenziare il lavoratore senza alcun obbligo di reintegra dello stesso, anche laddove il licenziamento fosse dichiarato ingiusto da un giudice: al lavoratore verrebbe, infatti corrisposto solo un indennizzo monetario proporzionato alla sua anzianità di carriera.
Nonostante tale novità abbia attirato più di una critica, tuttavia si deve anche considerare che il D.lgs. 34/2014, ha già messo mano anche ad un'altra tipologia contrattuale e cioè al contratto a termine.
Quest'ultimo ha conosciuto un grande sviluppo negli ultimi anni: solo nel 2013 si è ricorsi a tale tipo di contratto mediamente in 68 assunzioni su 100 - così come sottolineato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nell'ambito del Rapporto Annuale sulle Comunicazione Obbligatorie del 2014. Inutile sottolineare che il ricorso a questa forma contrattuale ha incontrato, quindi, un netto incremento.
I motivi di tale crescente impiego sono sicuramente da ravvisarsi nell'abbattimento di quegli ostacoli precedentemente vigenti e che rendevano difficoltose le assunzioni con il contratto a termine.
Un primo intervento legislativo che ha operato in tal senso è stato effettuato dalla riforma Fornero, la quale ha eliminato, per i contratti di durata non superiore ad un anno, l'obbligo di indicare l'esigenza temporanea giustificante il ricorso a tale tipologia contrattuale.
In seconda battuta è intervenuto l'attuale Governo, ampliando ulteriormente i limiti temporali apposti a tale acausalità: attualmente si prevede, infatti, la possibilità di stipulare contratti a termine acausali della durata massima di 36 mesi prorogabili fino ad otto volte nel medesimo intervallo di tempo.
Tutto ciò ha decisamente agevolato il ricorso al contratto a termine che sembra essere diventato la normale porta di accesso al mondo del lavoro.
Tale situazione di fatto pare, però, essere in netto contrasto con quanto previsto dalla normativa comunitaria e nazionale; infatti tanto la Direttiva Europea 1999/70/CE, quanto il D.lgs. 368/2001 affermano chiaramente che "il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune dei rapporti di lavoro".
Volendo trarre delle conclusioni rispetto ad un quadro normativo così delineato non si può quindi che sostenere come l'introduzione di un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti paia essere assolutamente auspicabile in quanto, permetterebbe di ristabilire quei principi minimi che sono alla base del nostro diritto del lavoro ristabilendo la supremazia del contratto a tempo indeterminato rispetto a quello a termine.
Avv. Cristiano Cominotto - Presidente Assistenza Legale
Dott.ssa Manuela Casati