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Economia
Coronavirus Decreto Liquidità non funziona. Ricorrere a helicopter money

Per evitare il collasso delle imprese, a causa del Coronavirus, il governo Conte (M5S-Pd) ha previsto un “Decreto liquidità” a loro dedicate. Al fondo si potranno rivolgere le imprese, gli artigiani, gli autonomi e i professionisti, la parte vitale dell’economia del Paese. Ma molti dubbi sorgono sull’efficacia e gli effetti che potrebbe generare. Il Decreto sembra più una manovra a carico dalle imprese che dallo Stato, perché le imprese dovranno indebitarsi per avere liquidità. 

 

Con l’effetto sul medio termine di generare una bolla che sgonfiandosi, quando bisognerà restituire il denaro, procurerà fallimenti, disoccupazione e delocalizzazioni. Il processo rischia anche di garantire i furbi, pronti ad incassare i contributi e a fallire. 

 

Ne abbiamo parlato con alcuni imprenditori locali, molto preoccupati. In soldoni per loro il quadro sarebbe sintetizzabile così. Un’impresa che ha debiti pregressi, perché ha continuato a pagare forniture, affitti, macchinari anche senza produrre ed è ferma da un mese con mancati introiti e già navigava in uno scenario mondiale generale non roseo, ma ora dovrà spendere più di prima per ripartire, quindi si ritrova, per avere denaro e rimettersi sul mercato, a indebitarsi. Debito che poi dovrà restituire massimo entro 6 anni. Il tutto in un contesto di paura generale, in cui la popolazione esce meno per evitare il contagio, quindi vivendo una propensioni agli acquisti e ai consumi diretti minore. 

 

L’estrema gravità della situazione attuale dovrebbe far propendere il governo verso strumenti più radicali ma al tempo stesso ponderati, efficaci nel valorizzare le imprese vere. Come stanno facendo Germania e Usa, erogando denaro a fondo perduto. Ma andiamo per gradi. 

 

Cosa prevede il testo del Decreto Liquidità del governo Conte

Dal testo che abbiamo visionato, ma non ancora in Gazzetta Ufficiale, il decreto funziona con il meccanismo del prestito delle banche dato alle imprese, ma coperto dal Fondo di Garanzia dello Stato. Prestiti che saranno erogati con un tasso di interesse che può andare dallo 0,2% o 0,5% massimo e che dovrà essere restituito entro 6 anni. Per i piccoli professionisti è possibile un prestito fino a 25.000 euro o il 25% del fatturato, coperto dallo Stato al 100% ed erogato senza valutazione del merito di credito; per le imprese più grandi si ha una garanzia al 90% dai 25.000 agli 800.000 euro, con valutazione del merito di credito, che diventa al 100% se intervengono anche i Confidi, il consorzio italiano che concede garanzie alle imprese, proprio per facilitare l’accesso ai finanziamenti; garanzia dal Fondo prestiti al 90% da 800.000 euro a 5 milioni di euro per le piccole e medie imprese che hanno fino a 499 dipendenti, il tutto con valutazione del merito di credito. 

 

Lo Stato dà le garanzie. Ma il prestito va comunque giustificato e per molti settori, che non si sa quando ricominceranno e se ricominceranno a produrre e lavorare, è un rischio pesante.

 

Per le grandi imprese interviene SACE, ente che fa capo a Cassa Depositi e Prestiti, con una garanzia che copre tra il 70% e il 90% dell’importo finanziato, a seconda delle dimensioni dell’impresa, ed è subordinata a una serie di condizioni tra le quali l’impossibilità di distribuire dividendi da parte dei beneficiari per i successivi 12 mesi e di restare in Italia.

 

 

Perché iDecreto Liquidità non funziona.

SACE interviene con 200 miliardi. Il Decreto Liquidità è di complessivi 400 miliardi di euro ma alcune misure devono essere approvate della Ue, la complessità delle norme non chiarisce tanti aspetti su come erogare i fondi e le lungaggini della burocrazia rischiano di non fare arrivare alle imprese i fondi e per tempo.

 

“Ho paura, non so che fare, con una situazione del genere non me la sento di indebitarmi”, spiega Guido T. ristoratore napoletano, “poi con il crollo del turismo e questo problema dei contagi non vedo quale capacità di restituire il denaro potrei avere”. Michele B. artigiano lombardo ma con un impresa da fatturato non irrilevante e una trentina di dipendenti: “Abbiamo continuato a lavorare utilizzando i distanziamenti. Non chiederemo niente alle banche. Utilizzeremo quello che abbiamo messo da parte in questi anni. Ma noi ce lo possiamo permettere. Non so quanti imprenditori possano. Chi ha una situazione più problematica è costretto a fallire”.

Renato C., emiliano con un impresa nel settore manifatturiero: “Secondo me questo sistema non funziona. O l’Europa da almeno un po' di denaro a fondo perduto o non ha senso. Meglio uscire dall’euro e stamparci la nostra moneta”. Dello steso avvivo Davide S. anche lui emiliano e a capo di un Ncc (autonoleggio con conducente): “Non so che fare ma facendo debiti peggiorerei la situazione”.

“Mi sarei aspettato una parte a fondo perduto”, ha più volte dichiarato il presidente di Confapi Maurizio Casasco. 

 

Ma basta leggersi le dichiarazioni ai giornali dell’industriale Giuseppe Pasini per capire: “Se decidono di chiudere fino a metà maggio, dopo due e mesi e mezzo di fermo, diverse aziende sono destinate a non riaprire più”.

 

 

Il Decreto LiquiditàMeglio ricorrere all’helicopter money. 

Sono diverse le leve, note agli studiosi di economia, che si possono usare in queste situazioni complesse: 1. Tagliare la spesa; 2. Tassare in modo più rilevante i soggetti più facoltosi; 3. Ristrutturare i debiti con fallimenti e ristrutturazioni; 4. Intervenire con una politica monetaria, stampando e distribuendo moneta (che prevede una politica condivisa tra Banca centrale e governo). 

Se bisogna evitare la prima, per non deprimere ancora di più la domanda interna e il Pil, appare di irrilevante impatto dato il numero limitato di questi redditi in Italia la seconda (se non anche ingiusta come misura), vista la possibilità con la globalizzazione di portare il denaro all’estero, la terza è già il segno di una cancrena in corso, ci resta la quarta, vicina alle politiche che stanno adottato Usa e Germania.

 

Il 19 marzo sul quotidiano Il Foglio l’ex rettore dell’Università Bocconi di Milano, Guido Tabellini, ha ipotizzato come contrastare lo choc sull’economia causato dal contagio: la Bce dovrebbe stampare moneta per aiutare i Paesi confinati, aumentando redditi e liquidità di imprese e famiglie. In questo modo eviterebbe anche la fine dell’euro. E Tabellini non è un sovranista.

 

L’economista e premio Nobel Milton Friedman coniò questo tipo di intervento con la formula provocatoria “helicopter money”.

Secondo Friedman, se tutte le strategie ortodosse di politica monetaria non funzionato, si deve e si può ricorrere alla distribuzione di denaro a pioggia. In questo caso mirata a chi produce economia. Creando poi, per quanto possibile, uno scenario di massa positivo la gente verrebbe invitata a non risparmiare. 

In sostanza la proposta è quella di creare moneta di versarla direttamente nelle tasche di cittadini e imprese. Anche l’incapacità del Quantitative Easing di produrre un adeguato choc suggerisce che i Paesi che si trovano di fronte a una situazione caratterizzata da bassi livelli di crescita, bassi tassi di interesse, debiti elevati, blocco dell’economia dovrebbero far prendere in considerazione l’ipotesi di creare e distribuire a fondo perduto una parte di questa moneta. Non ci sono altre strade.

 

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