Economia
Coronavirus, fase 2 al via ma i settori riaperti valgono meno di quelli chiusi

Restano esclusi i due “pesi massimi” dell’economia italiana, turismo e ristorazione, ciascuno dei quali vale oltre 8 volte le attività riaperte
La “fase 2” dell’emergenza coronavirus, quella della graduale riaperture delle attività produttive anche “non essenziali” sta per avere inizio in Italia. Secondo quanto ha annunciato il premier Giuseppe Conte ieri sera, le misure restrittive sono infatti prorogate fino al 3 maggio, una “decisione difficile ma necessaria”, ma siccome “non possiamo aspettare che il virus sparisca. Dobbiamo ripensare le nostre organizzazioni di vita”, dal 14 aprile incominceranno a riaprire alcune prime attività.
Oltre a librerie e cartolibrerie (come ci si attendeva), anche i negozi di abbigliamento per neonati e bambini, quelli di articoli sanitari e i negozi per animali potranno rialzare le saracinesche. Insieme a loro potranno tornare in attività gli studi e le attività professionali, scientifiche e tecniche, le fabbriche di computer e il commercio all’ingrosso di carta, la manutenzione di boschi, i servizi di cura del paesaggio e le opere idrauliche. Le aziende potranno inoltre riprendere a spedire ai propri clienti merci già in magazzino e ricevere a loro volta beni e forniture.
Il timore di una seconda ondata è evidente, ma altrettanto evidente è la sempre crescente pressione di coloro che al momento vedono la propria attività completamente bloccata e chiedono quando e come ripartire. Per quello il governo ha creato un gruppo di lavoro guidato da Vittorio Colao e di cui fanno parte tecnici Inail per riorganizzare la “macchina Italia” a partire dai lavori maggiormente a rischio-contagio come bar, ristoranti, palestre o teatri.
Ma quanto pesano i vari settori dell’economia italiana, sia riaperti sia ancora costretti alla chiusura? Se il calcio professionistico chiede da giorni di far ripartire a porte chiuse i campionati per evitare il crack di molte società, il suo peso in termini di generazione diretta di Prodotto interno lordo è in realtà modesto, con un fatturato di 4,5 miliardi di euro (di cui 3,4 miliardi per il solo calcio professionistico), a fronte 40 mila occupati diretti.
Numeri non molto dissimili da quelli dell’intera industria cinematografica, che con oltre 2 mila imprese e 173 mila addetti fattura poco più di 4 miliardi di euro l’anno, di cui 600 milioni generati dalle sole sale cinematografiche, da tempo segnalata come “l’anello debole” della filiera per via della concorrenza di televisione e servizi di streaming su internet e che ora rischiano di veder crescere i fallimenti.
Il calcio, tuttavia, almeno secondo la Figc, genererebbe un ulteriore indotto economico stimabile in oltre 18 miliardi di euro all’anno, portandosi così ad un livello superiore anche a quello delle palestre, che tutte insieme valgono circa 10 miliardi l’anno di fatturato ma che per oggettivi problemi di rispetto delle misure di sicurezza sembrano destinate a rimanere chiuse ancora diverse settimane.
L’editoria, per contro, vive da tempo una situazione delicata. Il canale “trade” ossia quello dei libri su carta venduti dalle librerie (oltre 5 mila in tutta Italia, cui andrebbero sommate circa 400 fumetterie) e dalla Gdo (ma anche, sempre di più, attraverso siti online il cui peso negli ultimi 10 anni è passato dal 5% al 27% circa), lo scorso anno ha fatturato poco più di 1,42 miliardi di euro (peraltro in rialzo del 4,9% sul 2018), pressoché lo stesso livello del 2011 quando però si erano venduti 109 milioni di libri contro i 90,1 milioni dello scorso anno.
Un calo di volumi di vendite che è ben lontano dall’essere compensato dall’aumento delle vendite di e-book, lo scorso anno saliti ad appena 71 milioni di euro (peraltro con un incremento del 6% sul 2018, dato che appare superiore a quello di tutti gli altri paesi). Studi e attività professionali si stima fatturino invece 1,7 miliardi l’anno, mentre la “pet economy”, pur in forte crescita, vale poco di più: circa 2,1 miliardi di euro di fatturato nel 2018 a fronte di circa 5 mila punti vendita. Anche in questo caso l’e-commerce sta gradualmente decollando ma muove per ora numeri molto ridotti (8,3 milioni di euro).
Modesto anche il business di cartolerie e negozi di cancelleria (19 mila imprese tra ingrosso e dettaglio), nel 2019 apparso già in evidente affanno con un calo dell’1,9% del giro d’affari rispetto all’anno precedente a circa 200 milioni di euro. Il giro d’affari del settore Pc è invece attorno ai 2 miliardi di euro l’anno e complice la situazione di “scuole chiuse” potrebbe registrare un buon flusso di ordini nelle prossime settimane.
Più consistente è il mercato dell’abbigliamento per neonati e bambini di età inferiore ai 3 anni (“childrenswear”), che nel 2018 aveva sfiorato i 3 miliardi di euro, mentre quello per i “kids” (bambini dai 3 ai 15 anni) vale altri 3,5 miliardi di euro l’anno, per complessivi 6,5 miliardi di giro d’affari del settore. Sommando librerie, cartolerie, pc, negozi per animali e di abbigliamento per neonati e bambini si arriva a quasi 14-14,5 miliardi di euro: all’incirca quanto calcio e palestre messi assieme. Numeri importanti, ma i “pesi massimi” restano per ora esclusi dalla fase 2.
Nel caso della ristorazione si tratta di oltre 336 mila imprese (di cui 48 mila rappresentate dai soli bar e caffetterie), con 1,2 milioni di posti di lavoro, che lo scorso anno hanno realizzato 86 miliardi di euro di giro d’affari, avendo inoltre acquistato 20 miliardi di euro di prodotti agroalimentari. Acquisti che ora sono ovviamente azzerati con ricadute negative anche su tale settore. Il vero “peso massimo” tra i settori che stanno soffrendo il lockdown da coronavirus è però il settore turistico, su cui da anni il paese (in particolare, ma non solo, il Mezzogiorno) si stava specializzando.
La Banca d’Italia stima che il fatturato valga circa il 5% del Pil, dunque più di 88 miliardi di euro all’anno, di cui secondo altre stime circa 42 miliardi deriverebbero dai flussi turistici in arrivo dall’estero. Nel “bel paese” esistono oltre 6.600 luoghi di cultura (parchi, musei, archivi e biblioteche, attrazioni varie), oltre 330 mila strutture alberghiere e oltre 183 mila strutture extra-alberghiere che sempre secondo Banca d’Italia creano il 6% di tutti i posti di lavoro italiani. La vera sfida non è dunque riaprire in punta di piedi queste prime attività, ma riuscire a trovare il modo di mantenere in vita e poi riorganizzare perché possano riaprire tutte le altre.