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Economia
Coronavirus, ferie forzate nella PA? I funzionari rischiano il danno erariale
fonte Wikipedia

Mentre il sistema produttivo del Paese, a causa del COVID-19 è costretto a sospendere ogni attività, con i gravi danni economici, ricorso alla cassa integrazione e persino il licenziamento di dipendenti, nelle pubbliche amministrazioni, dove non esiste la cassa integrazione e i dipendenti vengono pienamente retribuiti, sia che lavorino da casa (lavoro agile), sia che non siano assolutamente impiegati (esenzione) emergono alcune questioni cruciale che, dovrebbe fare arrossire chi fosse dotato di una buona coscienza e che dimostrano, purtroppo, la grave lontananza tra le pubbliche amministrazioni e il mondo produttivo, quello, cioè, che permette al Paese e alle stesse pubbliche amministrazioni di sopravvivere.

La prima questione emersa qualche tempo fa riguarda la pretesa di riconoscere il diritto al “buono pasto” al dipendente “costretto” a lavorare tra le mura di casa. La questione è stata risolta, in alcuni casi, con il ricorso al buon senso, grazie all’autonomia riconosciuta alle pubbliche amministrazioni. Ma non sono poche quelle che, comunque, lo hanno riconosciuto.

La seconda, più attuale e di difficile soluzione riguarda la pretesa, nel caso in cui il dipendente non si rechi al lavoro e non svolga alcuna attività in “smart working”, di rimanere a casa, mantenendo il proprio stipendio, ma senza intaccare le proprie ferie già maturate.

E’ probabile che chiunque non lavori nella pubblica amministrazione rimanga sorpreso da tale richiesta, anche perché, il nostro ordinamento giuridico prevede il diritto alle ferie e la loro irrinunciabilità, ma riconosce che vengano concesse dal datore di lavoro, tenuto conto “delle esigenze dell’impresa”, fino a prevedere il “dovere di comunicazione preventiva al lavoratore del periodo di ferie” concesso (art. 2109 cc.). E negli enti locali, l’articolo 28 del CCNL approvato nel 2018 prevede che siano fruite in “periodi compatibili con le esigenze di servizio”.  

E’ evidente ed è indiscusso per il mondo delle imprese che il dipendente può essere collocato in ferie nei periodi di inattività forzata dell’azienda. E lo è maggiormente quando si tratti di pubblica amministrazione e del superiore interesse pubblico che deve perseguire. A meno che non si propenda per la tesi della posizione di privilegio del dipendente pubblico, che potrebbe accendere pericolose contrapposizioni dagli esiti poco auspicabili.

La questione, quindi, sarebbe stata di facile soluzione, se non fosse intervenuta la circolare n.2/2020 della funzione pubbliche che, nell’intento di dettare le condizioni per collocare i dipendenti in smart working, ha utilizzato espressioni che si prestano a letture che potrebbero apparire in contrasto con le norme vigenti. Il provvedimento, infatti, nel richiamare giustamente l’esigenza di collocare in ferie il personale che avesse ancora da fruire periodi di ferie pregresse, afferma che tale espressione “oltre alle ferie del 2018 o precedenti, deve intendersi riferita anche a quelle del 2019 non ancora fruite”.

Appare subito che l’affermazione è corretta e lapalissiana e peraltro sarebbe il caso di evidenziare che, in linea di principio, nessuna amministrazione dovrebbe consentire l’accumulo di ferie pregresse. Tuttavia, lo stesso Dipartimento della Funzione pubblica, a seguito della richiesta di una sigla sindacale, ha ritenuto di dovere interpretare la propria circolare in modo restrittivo e in contrasto con il quadro normativo vigente, richiamando diverse amministrazioni pubbliche, dal Piemonte alla Sicilia, colpevoli di avere disposto il collocamento in ferie maturate nell’anno 2020, cioè di avere programmato le ferie dei dipendenti in ragione delle evidenti esigenze di servizio.

Peraltro le censure riguardano i casi di dipendenti che, essendo assegnati ad attività di sportello, in considerazione della chiusura dei rapporti con il pubblico, non avrebbero potuto nemmeno svolgere alcuna attività in modalità di “lavoro agile”.

Il Dipartimento, quindi, sembra volere prescrivere che, laddove i dipendenti non possano essere effettivamente utilizzati per alcuna attività lavorativa, ancorchè abbiano maturato giorni di ferie dell’anno in corso, debbano rimanere a casa, mantenendo il diritto allo stipendio, ma non essere collocati in ferie. Magari con l’effetto che, una volta cessata l’emergenza, si assentino necessariamente per smaltire le ferie maturate.

Ma la vera beffa consiste nel fatto che, laddove i funzionari decidessero di assecondare la fantasiosa prescrizione del Dipartimento, potrebbero incorrere nel rischio di essere chiamati in causa dalla Corte dei Conti per avere causato danno all’erario, non avendo fatto ricorso al potere datoriale che avrebbe permesso la pianificazione delle ferie, comportando un utilizzo funzionale e meno dispendioso delle risorse umane.

Ciò che rammarica di più è che, ogni cittadino, dal Dipartimento della Funzione pubblica, si aspetterebbe la difesa dei principi di “buona amministrazione” e dei funzionari che la perseguono, piuttosto che delle pretese individuali e poco nobili, di dipendenti, anche se  tutelati da qualche sigla che, mi si consenta, con questi comportamenti, tradisce il buon nome e la storia del movimento sindacale.

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